Si avvicina l’evento benefico dell’estate della Scuola Italiana di Nottingham: sabato 13 luglio dalle 13 alle 16 alla Rushcliffe Spencer Academy School si terrà l’Italian Summer Market.
Nuovo appuntamento per la visita ”Capolavori Italiani a Londra” il 29 Giugno
Il 29 giugno è il nuovo appuntamento con le visite guidate dell’Associazione Mondo Italiano alla National Gallery.
Il tutto esaurito del 15 giugno e la lunga lista d’attesa hanno spinto il Dottor Alessandro Gaglione (mente e cuore dell’Associazione Mondo Italiano e Presidente del Comitato Italiani all’Estero) ad aggiungere la data del 29 giugno per visitare una selezione di capolavori Italiani presenti alla National Gallery.
Anche questa visita (evento andato subito sold out) sara’ guidata dal Dott. Renato Marinacci che abbiamo avuto il piacere di intervistare.
Renato, grazie per l’intervista. Comincio col chiederti come nasce la passione per l’arte e come è diventata la tua professione?
La creatività ha sempre accompagnato la mia vita, sin da piccolo.
Poter fare vivere la fantasia su un foglio e poter dialogare attraverso di esso è stato un canale di comunicazione principale e necessario. Ciò mi ha portato in maniera spontanea ad approfondire gli studi sull’arte e la sua evoluzione. Poter trasmettere questa passione agli altri è stato un passo, diciamo, naturale.
A Milano collaboravo con associazioni culturali con le quali aiutavamo i giovani artisti ad emergere e a farsi notare. E’ stata un’esperienza molto formativa ed esaltante.

In Italia, a fronte di una ricerca storica eccellente, abbiamo ancora la visione del museo come “luogo sacro di sapere”
Poi la decisione di trasferirsi nel Regno Unito; una decisione che ha comportato anche nel settore dell’arte qualche difficoltà d’inserimento. Cosa può dirci in merito?
L’Italia e il Regno Unito dal punto di vista museale hanno punti di contatto, ma l’approccio è quello che differisce in maniera sostanziale. In Italia, a fronte di una ricerca storica eccellente, di altissimo livello, e scevra da ideologie, abbiamo però ancora la visione del museo come “luogo sacro di sapere”.
Se il museo in Italia ha la funzione di preservare il lascito culturale, una certa rigidità a livello di sistema spesso non porta a una giusta valorizzazione del patrimonio artistico.
Quale altre differenze ha notato con il sistema inglese?
La gestione anglosassone è composta da un Board of Trustees, persone esperte nel campo artistico-culturale e scientifico, ma anche individui sensibili agli aspetti economici e alle relazioni con l’esterno.
Si guarda infatti all’aspetto economico nelle stesso modo a cui si guarda quello culturale: se si vuole che un istituto non sia un peso sulle spalle del sistema, bisogna renderlo sostenibile. Per questa ragione qui è apprezzato il supporto di privati attraverso varie forme di sgravi fiscali o di servizi aggiuntivi (come l’uso limitato e temporaneo degli spazi museali per eventi privati). In Italia, per esempio, si è dovuto lottare solo per l’idea di poter avere ristoranti nei Musei, come se esso fosse un sacrilegio alla sacralità del posto e non un plus a vantaggio dell’utente dell’ente stesso.

Sono convinto che l’interazione umana e la capacità di emozionare con un racconto sono skills difficilmente replicabili
Un altro argomento “spinoso” è l’introduzione della tecnologia, risorsa o minaccia?
Internet è stata una ventata di novità nel mondo dell’arte. Ha creato una sorta di democrazia nel campo culturale contemporaneo, soprattutto per gli artisti emergenti che hanno potuto, in determinate situazioni, bypassare certi filtri e sono riusciti a mettersi in contatto tra di loro, con curatori/galleristi e scambiarsi informazioni, idee e quant’altro.
Per tutti gli appassionati, un mezzo per condividere questa passione attraverso i forum o blogs.
App come Google Art & Culture possono inoltre aiutare il turista a non vagare “a vuoto”, ma poter scoprire delle “chicche”, segnalate anche da altri utenti che altrimenti resterebbero sconosciute.
Qualche timore, d’altro canto, lo si riscontra nelle parole dello storico dell’arte laureato in Beni Culturali all’Università Cattolica di Milano.
AI (Artificial Intelligence) suona come una minaccia per tanti posti di lavoro delle guide d’arte e turistiche, ma sono convinto che l’interazione umana e la capacità di emozionare con un racconto sono skills difficilmente replicabili.
Chi partecipa alle visite dell’Associazione Mondo Italiano non può che trovarsi d’accordo con le parole del Dott. Marinacci: aldilà della tecnica e la storia, la capacita’ umana di interpretare un’opera non è una risorsa trasferibile. L’arte è un linguaggio visivo, ma come tutte le lingue, racchiude un significato.
Un computer che produce arte senza comprenderne il significato difficilmente riuscirà mai a convincere il suo utente.
Ci può raccontare della sua collaborazione con l’Associazione Mondo Italiano?
La collaborazione con Mondo Italiano nasce con la più classica delle modalità: il passaparola. L’Avvocato Gaglione, fondatore dell’associazione, in una riunione aveva discusso gli eventi culturali di Mondo Italiano e vista la possente collezione di opere italiane alla National Gallery, stavano cercando una persona esperta nel settore per fare delle guide.
Il “passaparola” di due suoi amici conosciuti tramite la comunità italiana della parrocchia St Peter’s Italian Church hanno fatto da tramite…ed il resto è storia
Nelle prime due esperienze con Mondo Italiano ho voluto condividere con i presenti la grandezza della collezione presente alla NG, soffermandomi sui masterpieces dell’arte italiana.
Nelle successive occasioni vorrei addentrarmi nel far conoscere altri artisti meno noti all’immaginario collettivo del pubblico (perché non oggetti di marketing e di enfasi), ma non per questo non meritevoli di attenzione. Mi viene in mente il Pontormo che in vita veniva lodato e apprezzato dagli stessi Raffaelo e Michelangelo.

E’ quasi una seduta di psicoterapia in cui chiedo alle persone di fidarsi di me in questo viaggio emotivo
Il suo intento dunque è che ogni visita guidata diventi un’esperienza a sé, perché, come ci spiega il nostro intervistato, cerca di plasmare la guida secondo le esigenze dei visitatori.
Voglio assolutamente evitare che sia un elenco noioso di date e concetti che non tutti, senza un background specifico, possono comprendere. E’ quasi una seduta di psicoterapia in cui chiedo alle persone di fidarsi di me in questo viaggio emotivo. Riuscire a stuzzicare la curiosità con aneddoti o curiosità stimola l’appassionato e alleggerisce il peso alla persona meno predisposta, nel contempo, può aiutare a contestualizzare l’opera, a leggere il mondo come lo leggeva l’artista nel suo tempo e nel suo luogo.
Una domanda difficile: i tuoi tre artisti preferiti e perché proprio loro?
Ne cito due più una corrente artistica: Chagall, è il primo della lista. E’ l’artista che dipinge i sogni. Proietta sulle sue opere l’ingenuità e la spensieratezza dell’infanzia ma anche la tragicità della sua vita e del suo popolo rielaborando il tutto in una poesia colorata e libera.
Caravaggio per il suo saper riprodurre la natura nella sua crudezza, senza perdere l’eleganza (nonostante il chiaroscuro dei suoi turbamenti umani). I Surrealisti per il loro legame con l’inconscio e la psiche; e in generale nell’associare immagini e pensieri in libertà e arrivare oltre la realtà e la razionalità.
Secondo Marinacci il fruitore sarà al centro dell’esperienza artistica nel futuro
Per concludere (anche se staremmo ad ascoltarla per ore), l’arte del futuro come la immagina?
L’arte stessa è desiderio del futuro, è sempre un spingersi oltre dove non ci sono regole o bisogna inventarsene di nuove.
Secondo il Dottor Marinacci il fruitore sarà al centro dell’esperienza: se si pensa alla realtà’ virtuale si può affermare che il dado sia già tratto.
Umberto Boccioni disse: “Noi porremo lo spettatore nel centro del quadro”. Beh in quanto futurista aveva una visione molto chiara del…futuro!

Non è concepibile un futuro senza la bellezza dell’arte, un linguaggio che fin dalla preistoria ha rappresentato un bisogno da soddisfare
L’essere umano preistorico tra le tante attività per il proprio sostentamento come cacciare, vestirsi, accendere un fuoco o coltivare…ha avuto questo impellente bisogno di disegnare sui muri della sua grotta le scene di caccia e la sua vita quotidiana. E nel corso dei secoli, nelle varie modalità e culture, ha continuato ad esternare questa necessità di comunicare. Vorrà pure dire qualcosa.
Per registarsi agli eventi di Mondo Italiano basta consultare il sito Eventbrite.
Per essere sempre aggiornati sulle iniziative, suggeriamo di contattare l’Associazione per essere inseriti nella newsletter o al gruppo dedicato di WhatsApp
Chiara Fabbro – la fotografa degli ”ultimi”
Ho avuto la fortuna d’incontrare una donna, una fotografa, che ha letteralmente trasformato la sua vita dandole la forma della personale missione artistica e umana.
Il suo lavoro l’ha portata nei sobborghi di Kuala Lumpur, nei Balcani, e nelle Isole Canarie
Si chiama Chiara Fabbro ed è una fotografa documentarista italiana residente a Londra, specializzata in diritti umani e migrazioni. Il suo lavoro l’ha portata nei sobborghi di Kuala Lumpur, in Malesia, dove chi fugge da conflitti e persecuzioni vive in un limbo senza poter ottenere lo status di rifugiato; nei palazzi abbandonati dei Balcani, dove uomini, donne e bambini migranti restano bloccati durante il loro viaggio verso l’Europa; e sulle spiagge delle Isole Canarie, meta di migliaia di persone che affrontano pericolosi viaggi su imbarcazioni di (s)fortuna, dalla costa dell’Africa occidentale.
Ciao Chiara, grazie per essere qui con me e soprattutto per il contributo prezioso che dai alla libera informazione. Partendo proprio da questo, puoi raccontarmi com’è nato l’amore per la fotografia documentaristica?
La passione per la fotografia di reportage si è sviluppata insieme all’interesse per i temi legati alla migrazione e ai diritti umani, e alla volontà di documentare quello di cui ero testimone. È nato tutto da una serie di esperienze di volontariato, la prima delle quali proprio a Londra, dove vivo, con una charity che supporta i richiedenti asilo, e con cui collaboro ormai da diversi anni come interprete inglese-francese e intervistatrice. Sono seguite altre esperienze più brevi, a Calais, in Francia, con una ONG che offre supporto alle persone migranti che si trovano lì con la speranza di raggiungere il Regno Unito e a Lesbo, in Grecia, in emergency response per le persone che allora arrivavano con i gommoni dalla Turchia.
Grazie a queste esperienze ho avuto modo di osservare da vicino le conseguenze della gestione delle frontiere e delle politiche di accoglienza. Mi sono interessata sempre di più alle storie delle persone che affrontano questi viaggi così difficili e ho deciso di combinare questo interesse con la mia passione per la fotografia per provare a raccontarle, quelle storie, mettendole al centro. Credo che sia molto più difficile accettare di trattare degli esseri umani come “altri” e come un problema, nel momento in cui ci confrontiamo con l’umanità delle loro storie individuali.

Kuala Lumpur
Puoi condividere alcune esperienze dei tuoi lavori in diverse località come i sobborghi di Kuala Lumpur, i Balcani e le isole Canarie? Quali sfide hai incontrato e come hanno plasmato la tua prospettiva sulle questioni legate alla migrazione?
A Kuala Lumpur ho collaborato con una piccola ONG che supporta i senzatetto e i rifugiati. Questi ultimi si trovano in una situazione molto difficile poiché la Malesia non ha aderito alla convenzione sui rifugiati. Non possono lavorare se non in modo irregolare, con remunerazioni molto basse e senza protezioni, e sono suscettibili all’arresto e al rimpatrio. Ho conosciuto in particolare tre giovanissimi fratelli afghani con cui si è creato un rapporto molto stretto che dopo diversi anni in limbo sono finalmente stati accolti da un paese terzo firmatario della Convenzione, dove i loro diritti sono tutelati.
I Balcani
Dalla fine del 2020 ho iniziato a concentrarmi sulla cosiddetta rotta balcanica. Essendo friulana e avendo vissuto per diversi anni a Trieste lo sento come un tema che mi riguarda da vicino. Se ne parla molto meno rispetto alla rotta del Mediterraneo Centrale, ed è importante creare consapevolezza su chi arriva dai confini orientali. Persone che vengono da paesi come Afghanistan, Pakistan, Siria o Iran e vogliono presentare domanda d’asilo in Europa non hanno altra scelta che pericolosi attraversamenti irregolari dei confini. Nel 2021 ho passato due mesi in Bosnia-Erzegovina ed è stata un’esperienza molto intensa per le storie di chi ho incontrato e per la difficili condizioni in cui vivevano, in edifici abbandonati o accampamenti di fortuna durante il rigidissimo inverno balcanico, sospesi in un limbo che può durare mesi a causa dei ripetuti respingimenti alle frontiere, spesso violenti. Il trauma di queste esperienze pesa inevitabilmente sulla salute mentale, spesso aggiungendosi a un carico già esistente.
Isole Canarie
Alle isole Canarie sono stata due mesi per documentare l’arrivo di persone via mare dalle coste dell’Africa Occidentale, attraverso la cosiddetta rotta atlantica, per conoscere più da vicino la situazione in un altro paese del Mediterraneo. I dati suggeriscono che si tratti della rotta di migrazione in assoluto più pericolosa, in termini percentuali di vittime rispetto alle partenze. La distanza percorsa può raggiungere anche i 2000 km, in un’area di oceano molto vasta, che complica molto le operazioni di soccorso. Sono frequenti i problemi al motore, così come il disorientamento, e le persone a bordo possono restare alla deriva per giorni, se non settimane, durante le quali le scorte di acqua, cibo e carburante spesso finiscono. Alcune imbarcazioni sono state rinvenute persino ai Caraibi – a bordo solo i resti di chi era partito. I racconti di chi è sopravvissuto alle traversate più tragiche parlano dei corpi buttati a mare e sono estremamente drammatici. Volevo provare a capire le motivazioni di chi si imbarca in un viaggio così pericoloso e raccontare le loro storie.

Kuala Lumpur, Malesia 2019 (copyright Chiara Fabbro)
La tua fotografia è stata riconosciuta con prestigiosi premi come il Portrait of Humanity e il Photography 4 Humanity Global Prize. Come pensi che il tuo lavoro contribuisca a sensibilizzare e promuovere il cambiamento riguardo alle questioni dei diritti umani e della migrazione?
Non ho la presunzione di fare una grossa differenza, si tratta di un tema complesso e su scala globale, affrontato da molti fotografi bravissimi e con più esperienza di me. Però quando capita che qualcuno che si è imbattuto nel mio lavoro mi contatti per ringraziarmi perché ha imparato qualcosa o perché le foto lo hanno colpito mi dico che forse sto andando nella direzione giusta.
Le persone che ho fotografato hanno lasciato alle spalle guerre, persecuzioni e privazioni
Le persone che ho fotografato hanno lasciato alle spalle guerre, persecuzioni e privazioni, sono alla ricerca di una vita più dignitosa. Si tende spesso a semplificare la questione, con etichette sulla base di categorie a compartimenti stagni: da un lato i rifugiati considerati legittimi, e dall’altro i migranti economici. La realtà però è fatta quasi sempre di sfumature e i motivi che spingono la gente a lasciare la propria casa e partire per un viaggio così difficile sono spesso un insieme complesso, non riducibile a questa semplificazione. La mia speranza è di avvicinare alle storie di coloro che arrivano alle porte d’Europa, ma anche di trasmetterne un piccolo frammento di complessità, per contrastare una narrazione semplificata e fuorviante.

Mi approccio innanzitutto da essere umano a essere umano
Potresti approfondire le considerazioni etiche coinvolte nella documentazione di questioni sensibili come la migrazione e gli abusi dei diritti umani? Come assicuri la dignità e la privacy delle persone che fotografi?
Il rispetto della persona e la connessione a livello umano sono fondamentali per me. Moltissime delle persone che ho incontrato hanno lasciato un segno e abbiamo mantenuto i contatti nel tempo. Ovviamente tutto diventa più delicato quando si tratta di persone in situazioni di vulnerabilità, con storie spesso drammatiche alle spalle. Mi approccio innanzitutto da essere umano a essere umano, cercando di non essere invadente e di creare quando possibile un rapporto di fiducia e rispetto reciproci. In questo mi aiutano molto il fatto di lavorare da sola e credo anche di essere donna, perché mi offrono quasi sempre il privilegio di non essere percepita come una “minaccia”, dandomi accesso a spazi più intimi. La macchina fotografica di solito compare dopo, spiegando qual è lo scopo del mio lavoro e assicurandomi che le persone siano consapevoli che le foto potrebbero apparire online. La maggior parte di coloro che ho conosciuto è stato d’accordo nel farsi fotografare. Chi preferiva non essere fotografato o solo in modo da non essere riconoscibile, di solito mi diceva di non voler essere visto in condizioni così poco dignitose. Sono molto grata a chi ha scelto di fidarsi di me e sento una grossa responsabilità nel condividere le loro storie, cosa che cerco di fare nel modo più rispettoso possibile.
C’è in entrambi i paesi una tendenza a mettere l’enfasi sulla sicurezza dei confini, che diventa prioritaria rispetto ai diritti umani
Essendo una fotografa documentarista italiana con sede a Londra, come navighi tra i paesaggi culturali e politici sia in Italia che nel Regno Unito in relazione alle questioni migratorie? Noti differenze nelle attitudini o nelle politiche verso i migranti tra i due paesi?
Mi sembra che siano molte le somiglianze su questo tema, spesso usato come capro espiatorio per i problemi interni del paese. Il piano di trasferire i richiedenti asilo in Rwanda del Governo britannico di Rishi Sunak e quello analogo per l’Albania del Governo Meloni in Italia sono entrambi il frutto di un approccio che tratta esseri umani come pacchi non desiderati. C’è in entrambi i paesi una tendenza a mettere l’enfasi sulla sicurezza dei confini, che diventa prioritaria rispetto ai diritti umani di chi arriva, e poca attenzione allo sviluppo di adeguati programmi di accoglienza che favoriscano l’integrazione e che sarebbero nell’interesse di tutti.

Guardando avanti, quali progetti o iniziative future hai in programma?
Le idee sono molte ma non ho ancora programmato nulla di preciso quindi non mi sbilancio. Però sono molto felice di condividere l’inaugurazione giovedì 20 giugno della mia mostra “Along the border” incentrata sulla rotta balcanica, con fotografie e testimonianze da Bosnia-Erzegovina, Serbia e Trieste, commissionata dal Comune di Ravenna nel contesto del Festival delle Culture 2024.
La Console Rossella Gentile, orgoglio lucano ed esperienza professionale a Londra
La Console Rossella Gentile, ripercorre le sue esperienze di vita e di lavoro e parla della comunità italiana che ha trovato nel Regno Unito.
La Rosa Bianca – una storia di coraggio e resistenza in un musical imperdibile
Io e Sophie avevamo fatto una gita sulle rive del Danubio, era il 31 agosto 1939, il giorno prima dell’inizio del conflitto.
”Speriamo che non scoppi la guerra” – le dissi – ”Sì, invece. Speriamo che qualcuno riesca a fermare Hitler”.

A raccontarci questo piccolo e significativo spaccato di vita è Elisabeth Hartnagel-Scholl durante un’intervista rilasciata per il documentario di Marieke Schroeder ”La rosa bianca. La scelta di Sophie”.
La Rosa Bianca, Il movimento contro la dittatura nazista
Nel corso della sua vita Elisabeth Hartnagel-Scholl continuò ininterrottamente a ricordare il nome e l’eroismo di sua sorella e di suo fratello che insieme ad altri tre studenti fondarono nel 1942 un movimento contro la dittatura nazista, chiamato appunto La Rosa Bianca (Weiße Rose). Il gruppo, operativo a Monaco di Baviera, basava le sue azioni su la non violenza e l’informazione: sei furono gli opuscoli diffusi tra il popolo tedesco che fu invitato ad opporsi al regime con la resistenza passiva. Il loro coraggio, perpetrato attraverso l’impegno politico sopravvisse fino al 1943, anno in cui i principali componenti del gruppo vennero arrestati, processati e condannati a morte mediante una un’esecuzione atroce ed esemplare: la decapitazione.

NCProductions risponde alla responsabilità intellettuale di divulgare la storia del movimento e realizza ”The White Rose. The Musical”
Di questo movimento la giovane Sophie ne era l’anima e la sua storia continua a vivere attraverso diversi linguaggi espressivi e le testimonianze giunte fino a noi.
Alla luce degli disumani eventi che continuano a minacciare la sopravvivenza di alcuni popoli, storie come quella del movimento La Rosa Bianca si arricchiscono di nuovo significato. Il team della NCProductions, che include tra gli altri il regista Isac Bokoko, il music composer Ryan Rusconi, e la scrittrice Naomi-Moylan-Torke, risponde alla responsabilità intellettuale di divulgare la storia del movimento e sceglie di realizzare lo spettacolo teatrale (SOLD-OUT al suo debutto del Springboard Festival di Applecart Arts) ”The White Rose. The Musical”.
Un musical dunque che oltre a veicolare un messaggio potentissimo di resistenza, narrato dal punto di vista del padre di Sophie e Hans, Robert Scholl, si mostra ancora più pregevole per l’originale colonna sonora realizzata dal giovane compositore italiano Ryan Rusconi.

”The White Rose. The Musical”, ospitato dal FUSE International festival il 3 luglio a Kingston
Lo spettacolo ”The White Rose. The Musical” ha trovato una nuova casa nel FUSE International, festival internazionale di performance dal vivo che si terrà a Kingston, andando in scena il 3 luglio alle 19:30. Per l’edizione 2024 il FUSE International durerà dal 28 giugno al 7 luglio.
Un’occasione da non mancare, e per questo agevoliamo la reperibilità di maggiori informazioni sul biglietto attraverso il link ufficiale.
Speriamo che l’arte ci salvi ancora una volta.

Diario di Viaggio: la musica degli Italian Radio Society arriva in Giordania per l’Eid al-Adha
”La musica elimina ogni confine e ci insegna ad ascoltare. Un grande musicista non è quello che suona più forte, ma quello che ascolta di più l’altro”.
Sei anni fa, con queste parole, il Maestro Ezio Bosso fece scattare in ovazione l’intero Parlamento Europeo, dove era stato chiamato a intervenire per la Conferenza sul patrimonio d’Europa.
La naturalezza e la potenza di quel discorso, della sua lettera, colpiscono ancora, e oggi più di prima, di fronte alla consapevolezza che le atrocità delle guerre del passato, prossimo e remoto, non hanno insegnato nulla al genere umano. Il Maestro Bosso raccontava di come, avendo dedicato la sua intera vita – spenta troppo presto – alla musica, fosse riuscito a vivere diverse esistenze provenienti da tutto il mondo. Domani ascolto Debussy e sono francese, oggi Bach e sono tedesco, pur rimanendo orgogliosamente italiano.

L’abbattimento dei confini geografici, culturali e linguistici attraverso la musica rende ogni artista responsabile del proprio dono
L’abbattimento dei confini geografici, culturali e linguistici attraverso la musica rende ogni artista responsabile del proprio dono. Se posso arrivare alle persone, farle muovere al ritmo del mio sentire, la condivisione del mio sapere acquisisce un valore incommensurabile. Al di là del contesto, è dunque l’intenzione che fa la differenza nell’artista che si esibisce di fronte al suo pubblico.
Recentemente, a seguito dell’evento organizzato da Italy nel Cuore in occasione della Festa della Repubblica, abbiamo intervistato la cantante della band Italian Radio Society, Elisa Cipro, che a proposito di quella giornata ha commentato: “Volevo vedere gente ballare con una pizza in mano e magari aiutare a creare quella comunità di supporto che probabilmente c’era a Little Italy negli anni ’30, mantenendo sempre la nostra mentalità aperta e multiculturale, senza chiuderci ovviamente.”

All’evento, tenutosi a Londra nel Lordship Skatepark di Harringay, non c’erano solo italiani a rivivere il Bel Paese, ma anche molte altre persone di diverse nazionalità che quel senso di comunità della piazza tipica di “casa nostra” l’hanno compreso e amato in pieno, anche grazie alla musica.
Sempre in quell’occasione, Elisa Cipro ci ha raccontato in anteprima di un ingaggio che segna in modo profondo e particolare il percorso artistico della sua “terapeutica” band, che è stata invitata a esibirsi in Giordania nel Mama Gaia, situato all’interno dell’Oasis Ayla, in occasione delle celebrazioni per l’Eid al-Adha*.
“Speriamo di portare un po’ di leggerezza e di contribuire a creare un ponte per connettere ancora di più l’Europa al Medio Oriente.”
L’intento, come si diceva, che dà forza e significato all’arte.
Abbiamo deciso di mantenere un contatto costante con i giovani musicisti della Italian Radio Society durante la loro esperienza in Giordania, e di condividere con le lettrici e i lettori un diario di viaggio per tutta la durata della loro permanenza.

Per accompagnarvi in questo viaggio, ho deciso di partire da un estratto della canzone, ancora in fase embrionale, scritta da Elisa Cipro molto tempo prima che arrivasse l’ingaggio in Giordania. Il titolo è “The River Jordan”:
“How beautiful would it be
One day to feel free
From Jerusalem to the sea
Swim in those pure waters
The blooded water of the Jordan
And finally separate life from death
There will ever be peace?”
La sensibilità di un’artista di fronte al mondo si esprime e si carica di significato attraverso l’ascolto dell’altro. A chi domanda pace, si augura la pace.
La sincronicità tra stesura di “The River Jordan” e l’arrivo dell’ingaggio ha emozionato non poco Elisa Cipro
La sincronicità tra stesura di “The River Jordan” e l’arrivo dell’ingaggio ha emozionato non poco Elisa Cipro, che stanca da un lungo viaggio, non ha esitato un momento a raccontarci le sue prime impressioni.

L’Arrivo ad Amman
Cara Silvia, l’accoglienza è stata fantastica. Hanno organizzato tutto alla perfezione, con uno steward che ci ha preso all’aeroporto e ci ha assistito nel ritiro dei bagagli. Siamo poi partiti in furgone da Amman verso Aqaba, un viaggio notturno che ci ha permesso di osservare le case illuminate lungo il percorso. La stanchezza ancora non ha preso il sopravvento sull’emozione, non vediamo l’ora di arrivare.
La Prima notte a Aqaba
Silvia, eccoci qui. Che dire? L’accoglienza calorosa ricevuta continua a sorprenderci. Siamo stati accompagnati da personale locale in ogni momento e scortati in un hotel a cinque stelle meraviglioso. All’alba, sono stata svegliata dalle preghiere del mattino, un’esperienza unica e suggestiva, accompagnata da una vista incantevole.
Il Ristorante Mama Gaia e il repertorio
Il locale in cui ci esibiamo in occasione della festa Eid al-Adha, si chiama Mama Gaia, ed è situato all’interno dell’Oasis Aila. Il ristorante ha un’ispirazione italiana, precisamente sarda, motivo per il quale la nostra presenza qui è stata richiesta con grande entusiasmo. Come sai, il nostro repertorio include musica italiana vintage dagli anni ’20 ai ’50, e per l’occasione abbiamo aggiunto e adattato la splendida canzone ‘’Caravan Petrol” di Carosone, sostituendo “Allah” con “oi ma’” per rispetto culturale.
La Prima esibizione
Silvia, la prima serata è stata un successo straordinario! Sono qui con Paolo, il nostro batterista, che aggiunge: “Il servizio audio è stato impeccabile, c’erano tre sound engineer a nostra disposizione. Ci siamo sentiti trattati come celebrità” – continua Elisa. Il direttore dell’hotel ci ha ringraziato personalmente sulla nostra pagina Instagram, offrendosi di aiutarci in qualsiasi cosa. Alcuni clienti giordani ci hanno persino invitato a esibirci nel sud della Francia e a Londra.

La Vita a Aqaba
Aqaba è una città affascinante, con una sua dogana separata dal resto della Giordania e situata a soli 30 chilometri da Eilat, Israele. Il caldo è intenso, con temperature che raggiungono i 45 gradi. Ogni giorno ci vengono a prendere al nostro hotel e ci portano al Mama Gaia per le esibizioni serali. L’atmosfera è densa di emozioni sempre diverse, e la risposta del pubblico è entusiasta.
Riflessioni sul viaggio
Nonostante le sfide geopolitiche e il delicato momento storico, Elisa e la sua band vedono la loro presenza in Giordania come un’opportunità per creare un ponte culturale tra Europa e Medio Oriente. Con la loro musica ambiscono a portare leggerezza e a promuovere la connessione umana attraverso l’arte. Come si diceva poc’anzi, la loro avventura in Giordania è un esempio di come la musica possa superare le barriere culturali e unire le persone in momenti di gioia e celebrazione.

Al prossimo appuntamento del diario di viaggio!
*Eid al-Adha, o “Festa del Sacrificio”, è una delle più importanti festività islamiche, commemorando la prova di fede del profeta Ibrahim disposto a sacrificare il figlio in obbedienza a Dio. La celebrazione include preghiere comunitarie, il sacrificio di un animale la cui carne viene distribuita tra famiglia, amici e bisognosi, e atti di carità. Coincide con l’ultimo giorno dell’Hajj e rappresenta valori di fede, sacrificio e comunità per i musulmani di tutto il mondo.
Parlamento europeo, ci sono le alternative alla “maggioranza Ursula”
Ecco l’analisi della situazione al Parlamento europeo dopo le ultime elezioni proposta da Simone Billi, deputato della Lega eletto nella Circoscrizione Estero-Europa.
3,2,1 Action! – Il “dietro le quinte” del cinema sotto le luci della ribalta
Quando pensiamo al Cinema ci vengono in mente i film che ci hanno preso il cuore, gli interpreti e, qualche volta, la colonna sonora.
Ai protagonisti vanno gran parte degli onori per il successo al botteghino, lo status di Star è poi spesso accompagnato anche da un’altra a cinque punte sul Walk of Fame del Hollywood Boulevard di Los Angeles.
Per alcuni di loro la consacrazione raggiunge il culmine con la famosa statuetta dorata degli Academy Awards. Ma chi c’è davvero dietro a tutto questo?
Francesco Bongarrà (Direttore dell’IIC di Londra) ha aperto le porte dell’Istituto Italiano di Cultura al progetto 3, 2, 1…Action! ideato e promosso dalla Nervosa Pictures di Alessandra Gonnella e Giorgia Cecconi, le quali accompagneranno il pubblico a conoscere meglio i professionisti che lavorano le varie ”fasi” di un prodotto cinematografico in tre incontri.

Al primo, tenutosi lo scorso giovedì, Giorgia Cecconi (fondatrice del West London Film Festival) ha moderato la tavola rotonda composta da 10 esperti italiani della produzione e distribuzione cinematografica, che operano nel Regno Unito.
In ordine, hanno preso la parola rispettivamente:
· Bianca Fabbri (Development Executive della Embankment films)
· Arianna Perretta (apprezzata produttrice sportiva in UK)
· Michele Signorino (Business Affairs per Prime Video UK)
· Valentina Brazzini (Head of Development della Bureau Films)
· Lidia Ferraro (Programmer per CinemaItaliaUK)
· Malaika Bova (Direttore Artistico de Raindance Film Festival e programmer del Tallin Black Nights Festival)
· Enrico Tessarin (produttore)
· Giada Mazzoleni (produttrice)
· Jan Pace (Film Financer, QuickFire Films)
· Carlo Dusi (MD della Endor Productions)

Il nepotismo della TV inglese
Dopo un breve giro di presentazioni, per rompere il ghiaccio si è tentato di ragionare insieme sulle differenze riscontrate nel lavorare in UK e in Itallia.
Tra le sfide principali, superato ”lo scoglio” dell’accento quando si parla inglese (a detta di Giada Mazzoleni) le differenze culturali possono rappresentare un limite per ambo le parti.
Un mercato non dei più semplici quello della TV inglese, di cui Carlo Dusi ne condanna il nepotismo.
Se da un lato i professionisti presenti hanno confermato che nel Regno Unito le coproduzioni con il resto d’Europa siano difficili, in altri aspetti (acquisitions, production, etc.) le esperienze si dimostrano molto positive.

Per Jan Pace la possibilità di lavorare per produzioni in entrambi i paesi, quindi caratterizzate gruppi di lavoro estremamente eterogenee tra di loro, rende il suo operato più interessante.
La vicinanza alle altre culture europee fa la differenza
Altri, come Malaika Bova e Bianca Fabbri, riconoscono che essere italiani è un vantaggio per la facilità di rapportarsi agli altri e per la conoscenza del mercato, affrontato con un approccio diverso. Inoltre, la vicinanza alle altre culture europee fa la differenza quando si tratta di progetti internazionali.
Molti concordano sul fatto che l’inizio della loro carriera sia stato difficile: Arianna Perretta ha ricordato che oltre all’ostacolo di non essere una “native speaker” ha dovuto anche far fronte allo stereotipo della donna che si occupa di sport.
Come si abbattono dunque queste barriere?
Giada Mazzoleni ha risposto convinta che ‘‘Quando vedono che puoi fare la differenza ti aiutano”.
Molti dell’industria creativa temono l’utilizzo sempre più massiccio dell’intelligenza artificiale
Ci chiediamo se la determinazione e la professionalità siano abbastanza per stare al passo con le sfide contemporanee. Com’è noto e comprensibile, molti dell’industria creativa, nelle sue varie declinazioni, temono l’utilizzo sempre più massiccio dell’intelligenza artificiale.
Su questo tema però ci sono opinioni discordanti tra i professionisti del cinema: per alcuni sta già avendo un impatto (Michele Signorino), a partire dai cartoni animati, seppur la qualità lasci a desiderare; mentre Enrico Tessarini prevede un futuro in cui l’intelligenza artificiale possa compromettere il lavoro degli editors.

Di altro avviso è Carlo Dusi, di ritorno da un incontro su questo tema a Reggio Calabria: ”Al momento l’AI (Artificial Intelligence) è ad uno stadio molto lontano per pensare che possa competere qualitativamente con la creatività umana”.
Il talento di uno scrittore rappresenta una risorsa, un valore aggiunto anche per altri suoi colleghi, i quali auspicano che l’utilizzo dell’intelligenza artificiale non si trasformi in una minaccia, ma sia solo un aiuto tecnico, come è successo per il nuovo crime movie di Arianna Perretta, in cui si ha avuto bisogno di riportare in vita un personaggio.
Molti concordano che gli effetti più disastrosi li abbia causati Brexit
L’opinione più diffusa e comune rimane che gli effetti più disastrosi che hanno impattato l’industria cinematografica li abbia causati l’entrata in vigore di Brexit.
Questa ha comportato la scomparsa di schemes e fondi che in passato sono stati determinanti per le nuove leve della cinematografia, specialmente per gli studenti stranieri.
Oggi, queste possibilità sono molto ridotte ma rifacendoci alle parole della moderatrice della serata Giorgia Cecconi:
”Qualcosa ci inventeremo, come sempre”.
Il prossimo appuntamento a domani, giovedì 20 giugno, presso l’Istituto Italiano di Cultura.