Ci sono alcuni incontri che ti convinci essere meant to be. Succede a tutti, è successo anche a me. In particolare, mi riferisco a un pomeriggio di primavera apparente, fredda, ancora da caminetto, durante il quale incontrai quella che inizialmente pensavo fosse una creatura in movimento al di sopra dello spazio terreno, ma lontanissima anche da quello celeste.
Bevevamo birra sedute in un pub storico di Hackney, dove avevo portato i miei amici in visita dall’Italia per fargli vivere l’esperienza da locals, lontanissimi dal cambio della guardia a Buckingham Palace.
Quella donna minuta, ricciola, con gli occhiali da vista adornati solo da un lato con quella che sembrava una discreta decorazione natalizia, era Patrizia Paolini.
Abbiamo attaccato bottone in un attimo, e da quel bottone, col tempo, abbiamo cucito intorno un vestito che cambia ogni volta forma e colore. Con Patrizia infatti mai niente rimane immutato, mai niente è quello che sembra.
Londra Notizie 24 si era già occupata di lei, ma avidi di conoscenza, approfondimento e amore per l’arte come siamo, torniamo sempre da chi ha una storia che merita di essere ascoltata. Patrizia Paolini è una regista teatrale e performer dal vivo di grande talento, con oltre venticinque anni di carriera alle spalle, che attualmente sta svolgendo un progetto di ricerca per il suo dottorato (PhD) presso l’University of Kent, incentrato sul tema del “Post Variety & Cabaret”.
Riconosciuta per le sue creazioni innovative e collaborazioni di prestigio, Paolini ha lavorato, tra gli altri, con la pluripremiata compagnia teatrale Ridiculusmus.
Dal 2016, il suo cabaret decostruito, intitolato “Ms. Paolini’s Phantasmagoria Cabaret”, è una presenza stabile alla Hoxton Hall di Londra, dove continua a esplorare nuove modalità di fusione tra cultura “alta” e “bassa”, riflettendo sulle dinamiche sociali e di classe, al di fuori di trend, mode e lustrini di superficie.
L’abbiamo invitata a condividere con noi il suo progetto artistico e con estremo piacere vi proponiamo di seguito il suo intervento.
Come è iniziata la tua carriera artistica in Italia? Quali sono state le tue principali fonti di ispirazione in quel contesto?
Verso la fine degli anni Ottanta, quando ero una studentessa d’Architettura a La Sapienza di Roma, mi imbattei in un corso di Physical Theatre tenuto dall’odierna Accademia Internazionale di Teatro (al tempo chiamata Circo a Vapore). Il corso, part-time serale, mi introdusse alla gioia del movimento, del comunicare tramite il movimento. Questa esperienza mi diede la possibilità di riflettere sulla complessità dell’io e sull’importanza della finzione non solo in relazione ai grandi temi (Amore – Guerra – Integrità, ecc.), ma anche nell’approccio alla quotidianità. Così, decisi di iscrivermi alla scuola di Teatro a tempo pieno a discapito degli studi di Architettura.
Il metodo dello sfottimento dello studente di Philippe Gaullier
Qual è stata la motivazione principale dietro il tuo trasferimento a Londra? Come hai visto cambiare il tuo approccio artistico e le tue influenze dopo il trasferimento?
Nel 1996, in seguito all’esito positivo di una vertenza sindacale contro il mio datore di lavoro di allora, venni in possesso di una somma di denaro. Così decisi di iscrivermi all’ École Philippe Gaullier, all’epoca in Kentish Town, Londra. Sentivo il bisogno di approfondire lo studio teatrale e scelsi Philippe Gaullier, che in quel periodo era di base a Londra. Philippe Gaullier è conosciuto per il suo metodo di insegnamento a dir poco particolare, basato sullo ‘sfottimento’ dello studente, che incredibilmente attrae allievi da ogni parte del mondo. Tra i vari studenti che ebbi la gioia di incontrare, David Woods fu fondamentale per lo sviluppo futuro della mia carriera. David Woods, insieme a Jon Haynes, è il co-direttore della compagnia teatrale Ridiculusmus. Dopo pochi mesi dal mio arrivo a Londra, iniziai a collaborare e lavorare per Jon e David. Sin da allora, il rapporto professionale con Ridiculusmus non è mai cessato. Lavorare con Ridiculusmus mi diede l’opportunità di testare le mie abilità creative oltre a darmi un’idea sul tipo, o meglio sui tipi di lavoro teatrale propri del Regno Unito, e ovviamente sulla complessità della cultura e società britanniche, molto diverse dall‘Italia. L’esperienza fu veramente di grande impatto. Londra offriva e offre tuttora opportunità, energia, libertà di sperimentare, fallire, riprovare.
Raccontaci di più su “Ms. Paolini’s Phantasmagoria Cabaret”. Come è nato questo progetto e qual è il messaggio principale che cerchi di trasmettere attraverso di esso?
THE ROOM: CASH ONLY è un evento mensile di “Post-Variety & Cabaret” che si svolge nel seminterrato di Hoxton Hall, a Shoreditch, Londra. È il mio tentativo di operare al di fuori della – ciò che sembra – ineluttabile e travolgente pressione commerciale della nostra industria; di costruire una comunità di artisti, autori, performer, pensatori, comici, sperimentatori, poeti, cantanti, ballerini, intellettuali e anime creative, felici di condividere il loro lavoro all’interno di questa piattaforma. THE ROOM si propone insomma, di promuovere lavori sperimentali, oltre che provocatori, insoliti e belli. A mio parere, questo è un ethos necessario da abbracciare, poiché il clima culturale contemporaneo non risponde interamente agli sviluppi socio-politici attuali. THE ROOM: CASH ONLY nasce dal Ms. Paolini’s Phantasmagoria Cabaret nel 2011 da un membro del pubblico come “cabaret decostruito”, ed è stato programmato stagionalmente alla Hoxton Hall – una sala da musica originale del 1863 nel cuore dell’East End di Londra – dal 2016, e ha una lunga storia. Nasce nel 2011 al Goldsmiths College come Phantasmagoria nell’esegesi che accompagnava la componente pratica del mio Master in performance, si è sviluppato poi al Battersea Arts Centre come uno spettacolo teatrale sull’identità dei performer, esplorata attraverso la forma popolare del cabaret. È stato ribattezzato Phantasmagoria Cabaret quando ha debuttato alla Hoxton Hall nel 2016 in una serata del JPP (Jesus Paolini Park ensemble), con segmenti del mio “cabaret decostruito” e una serie di ospiti scelti meticolosamente, con a capo il gruppo cult giapponese – e vincitori del Foster’s Edinburgh Comedy God Award 2010 – The Frank Chickens.
L’intenzione di satirizzare il cabaret mainstream è quella di evidenziare il fallimento della forma nell’affrontare i problemi contemporanei della società
Dopo un lungo periodo di sviluppo per adattare il lavoro alla storia, tradizione e struttura della Hoxton Hall, è diventato infine Ms. Paolini’s Phantasmagoria Cabaret, riuscendo ad affermarsi come un contenuto/contenitore “ridicolo, spensierato, a volte faceto, prepotentemente unico e indimenticabile”. Ispirato alla forza innovativa e critica del cabaret europeo del passato, il materiale che ho ideato, talvolta improvvisato, con JPP si riferisce sarcasticamente ai contenuti e all’estetica del cabaret mainstream contemporaneo. L’intenzione di satirizzare il cabaret mainstream nel più ampio panorama artistico/culturale è quella di evidenziare il fallimento della forma nell’affrontare i problemi contemporanei della società, offrendo invece una formula commercialmente valida basata sulla nostalgica emulazione del cabaret degli anni della Germania, in particolare. Il mio lavoro, spesso correlato al caos, all’anarchia e alla sperimentazione del ‘Dada’, un movimento specifico del cabaret, si caratterizza per la sperimentazione, la critica socio-politica e culturale, spesso resa con una qualità surreale.
Post-Variety & Cabaret: Il tuo progetto di ricerca di dottorato si concentra su questo tema. Cosa ti ha spinto a esplorare questo tipo di performance e come pensi possa influenzare il panorama artistico contemporaneo?
‘Post-Variety & Cabaret’ è un termine ipotetico che ho inventato per descrivere lavori, tendenze e movimenti contemporanei altrimenti classificati erroneamente o non denominati affatto. Il mio progetto di ricerca di dottorato, tra gli altri obiettivi, mira a dimostrare o confutare la plausibilità di questo termine ipotetico. In breve, ho utilizzato questo termine inventato prima di tutto per evidenziare che nel Regno Unito c’è una generale confusione sulla comprensione e percezione dei termini ‘Variety’ e ‘Cabaret’. Tale confusione è strettamente legata alla mancanza di interesse da parte di intellettuali, accademici e agenti culturali verso quelle che un tempo erano forme ed espressioni vibranti della cultura popolare. A mio avviso, questa mancanza di interesse e studio è motivata dal desiderio di mantenere l’egemonia e i privilegi di certi gruppi e individui su altri gruppi e individui nella società. In secondo luogo, credo che ci sia una continuità e una fusione delle due forme nella performance popolare contemporanea. Ho deciso di usare il prefisso carico ‘post-‘ per provocare una reazione e una discussione sui temi menzionati. E infine, mi piacerebbe pensare che il mio studio di ricerca possa aprire una conversazione sulla performance popolare contemporanea, il suo funzionamento e il suo valore.
Esiste una divisione e una tensione a livello istituzionale. E la conversazione sulla cultura è plasmata dalle necessità di quelle istituzioni
Cultura “alta” e “bassa”: Come affronti la mescolanza tra queste due culture nel tuo lavoro? Qual è il tuo approccio personale nel trattare queste dinamiche?
Secondo la mia comprensione, qui nel Regno Unito non c’è una vera “mescolanza” tra la cultura alta e bassa. Le due sono spesso presentate, introdotte e discusse come “Alta Vs. Bassa” cultura, il che mi fa pensare che ci sia una competizione, un confronto, forse una battaglia o una guerra in corso in questa società. È interessante poter osservare questo fenomeno dalla posizione “privilegiata” di un’immigrata. Potrei sbagliarmi, ma, basandomi sulla mia esperienza, credo che, in senso pratico, non ci sia una divisione così marcata come può sembrare. Credo che persone di qualsiasi classe possano essere ugualmente interessate a consumare, godere e costituire aspetti della cultura alta e bassa. In altre parole, la divisione o la battaglia tra le due non avviene a livello individuale o persino di gruppi nella società. Ma di certo c’è una divisione e una tensione a livello istituzionale. E la conversazione sulla cultura è plasmata dalle necessità di quelle istituzioni. È possibile che mantenere questa divisione sia un modo conveniente per mantenere il controllo e il potere. Inizialmente in modo non intenzionale, poi deliberatamente, il mio lavoro è sempre caduto tra queste divisioni. Il mio tentativo è creare lavori stimolanti, significativi per me e, si spera, anche per altri, che raggiungano il pubblico più ampio e variegato possibile. Non ho mai creato qualcosa per poi diluirlo o amplificarlo apposta per conformarmi all’idea di “alto vs. basso”. Di conseguenza, ottenere finanziamenti pubblici può essere un problema. Anche la definizione, distribuzione e vendita del lavoro può essere problematica. E sì, il modo in cui il lavoro viene giudicato dagli agenti culturali (critici, promotori, programmatori, ecc.) può essere compromesso. Tuttavia, la mia scelta è molto semplice e facile da fare: faccio ciò che ritengo giusto fare, sono io la misura di tutto. E sono consapevole che, per operare all’interno di questa libertà, bisogna essere in grado di trovare modi alternativi di sopravvivere (a meno che non si abbiano molti soldi), e non preoccuparsi del giudizio.
C’è un appetito per la sperimentazione e l’innovazione; il desiderio di vibrare è lì
Come vedi il ruolo dell’innovazione e della sperimentazione nel teatro contemporaneo? Quali sono i rischi e le ricompense di perseguire una strada artistica non convenzionale come la tua?
Ho imparato il valore della sperimentazione qui, nel Regno Unito. Dalla fine degli anni ’90, quando mi sono trasferita a Londra, sono venuta a conoscenza delle pratiche sperimentali e dell’ondata innovativa che ha influenzato la creazione teatrale, la commedia, la musica, ecc. Ho notato l’approccio diverso al modo in cui la sperimentazione veniva valutata qui, nel Regno Unito, rispetto all’Italia, il mio paese d’origine. Gli artisti potevano accedere a piattaforme e sovvenzioni per produrre tali lavori. Il valore della sperimentazione era riconosciuto attraverso mezzi concreti di sostegno e promozione: finanziamenti, luoghi di promozione, aspettative del pubblico, ecc. Gradualmente, tuttavia, la scena è passata a una realtà artistico/culturale contemporanea abbastanza diversa. Negli ultimi dieci o quindici anni, sembra che il lavoro si sia concentrato maggiormente sul soddisfare criteri, rispondere e/o servire scopi specifici determinati da pensieri esterni al lavoro stesso. Sia il pubblico che gli artisti sembrano intorpiditi da, beh, molte cose, ma basandomi sulla reazione del pubblico ai miei spettacoli e degli artisti che partecipano ai miei eventi, direi che, come sempre, c’è un appetito per la sperimentazione e l’innovazione; il desiderio di vibrare è lì.
Il tuo lavoro ha un messaggio politico? In che modo pensi che il cabaret e la performance possano essere strumenti efficaci per esplorare e discutere temi importanti?
Il cabaret, nella sua versione originale, era un modo per scuotere lo status quo, attaccare l’establishment ed esprimere un profondo desiderio di giustizia [sociale, politica] e di cambiamento che attraversava l’Europa in quel momento. Era un movimento di pensatori, artisti e performer che si incontravano, esprimevano e condividevano le loro opinioni sui problemi attuali, senza paura di provocare e sfidare i potenti nella società. Il mio intento è lavorare mantenendo presente lo spirito del cabaret originale. Punto alla risata, all’intrattenimento. Attraverso lo svolgimento della performance, coinvolgo il pubblico e offro uno sviluppo sorprendente e stimolante. Credo che, come nella sua espressione originale, il cabaret sia un modo ideale per trasmettere punti di vista critici sui problemi contemporanei della società; un modo efficace per affrontare ed esplorare temi importanti e difficili, alleggerendo al contempo gli animi attraverso l’intrattenimento e la risata.
L’identificazione e la promozione di una scena culturale italiana potrebbe aiutare a favorire il dialogo e la discussione sulla scena culturale italiana stessa a Londra
Come valuti la presenza e il supporto della scena culturale italiana a Londra? Esistono sfide specifiche che gli artisti italiani affrontano qui? Quali cambiamenti o supporti ti auguri dalle istituzioni per migliorare e promuovere ulteriormente questa presenza culturale?
Non sono a conoscenza di una scena culturale italiana a Londra. Sono sicura che ci siano molti artisti e pensatori creativi italiani che si occupano di questioni simili e che creano lavori rispondendo a preoccupazioni paritetiche. Ma non sono collegata a nessuna realtà creativa italiana a Londra. Il solito problema iniziale, immagino, che condividiamo tutti, è lo scontro culturale: lingua, cibo, cultura del bere, l’istituzione della famiglia, i cliché e i pregiudizi che tutti noi sperimentiamo. La risposta a queste difficoltà può aiutare l’artista individuale, italiano o meno, a crescere e a definire la propria pratica. L’identificazione e la promozione di una scena culturale italiana potrebbe aiutare a convalidare il lavoro dell’individuo e, soprattutto, favorire il dialogo e la discussione sulla scena culturale italiana stessa a Londra e il suo contributo al Regno Unito, così come il più ampio discorso culturale italiano.
Hai lavorato con diverse compagnie teatrali e performer nel corso degli anni. Quali sono state le collaborazioni più significative per te e come hanno influenzato il tuo approccio artistico?
Ridiculusmus, una compagnia teatrale con cui collaboro ancora e per cui lavoro, è stata fondamentale per il mio sviluppo come artista e performer. Jon e David mi hanno mostrato la via per sviluppare la mia pratica introducendomi alla scena culturale britannica della fine degli anni ’90 e, molto importante, cambiando la mia percezione di “chi” è autorizzato a “creare” un lavoro e come. Ridiculusmus è stata una fonte di ispirazione non solo per la qualità delle loro produzioni, ma anche per il modo in cui lavorano e come si considerano e si posizionano all’interno del quadro più ampio. Adam Bohman è un improvvisatore elettronico lo-fi, il più anziano dei Bohman Brothers, che sono il nucleo della Bohman Family. È un membro della London Improviser Orchestra. Lui, nel corso di un lungo periodo di pratica, mi ha introdotta all’improvvisazione pura. Il concetto di improvvisazione pura si discosta così radicalmente dal principio della creazione teatrale. Ho avuto il privilegio di lavorare, per diversi anni, all’interno di uno dei processi sperimentali più radicali e astratti e di far parte di una scena del genere. Ho imparato molto sullo spirito libero della creatività e sulla natura stimolante dell’esplorare qualsiasi forma con cui si sta lavorando, e se stessi.
Al pubblico viene offerta l’illusione di assistere a un’opera trasgressiva, ma in realtà non viene richiesto di impegnarsi in una riflessione critica su questioni contemporanee
Come immagini il futuro del cabaret e delle performance come le tue? Ci sono nuove direzioni o tendenze che ritieni saranno importanti nei prossimi anni?
Attualmente, nel Regno Unito, la scena del cabaret è dominata dal cabaret commerciale. E credo che rimarrà così, perché la formula commerciale – emulazione nostalgica della tradizione passata del cabaret + cena e bevande – è molto redditizia. Al pubblico viene offerta l’illusione di assistere a un’opera trasgressiva, ma in realtà non viene richiesto di impegnarsi in una riflessione critica su questioni contemporanee. Questa è una costosa fuga confortante che sembra piacere a tutti. Quindi, il mio istinto mi dice che il vero spirito del cabaret sarà incarnato dalla scena underground, in modi che potrebbero non somigliare necessariamente al cabaret come generalmente percepito, il che si adatta perfettamente all’essenza della forma. Sono sicura che, come me, ci sono artisti che si sentono a disagio con il discorso attuale sul ruolo delle arti nella società.
Cosa consiglieresti ai giovani artisti che stanno cercando di intraprendere una carriera nel cabaret o nelle performance non convenzionali?
Non sono sicura di essere nella posizione di offrire consigli di natura pratica o strategica. L’unica cosa che direi è che se qualcuno è attratto da carriere non convenzionali nell’arte, dovrebbe avere fiducia nella propria scelta e andare avanti con le incredibili scoperte che i percorsi non convenzionali offriranno.
Il Prossimo appuntamento con THE ROOM: CAsh only è il 15 Ottobre presso la Hoxton Hall. QUI per maggiori informazioni.