L’Arte Incantata: Viaggio nel Mondo della Dorothy Circus Gallery con Alexandra Mazzanti

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Dorothy Circus Gallery London
Dorothy Circus Gallery London - entrance (copyright Dorothy Circus Gallery)

Ho avuto il privilegio di incontrare Alexandra Mazzanti, direttrice della Dorothy Circus Gallery, e di condurre un’intervista con lei. La galleria, divisa in due sedi – la rossa a Roma aperta nel 2007 e la blu a Londra aperta nel 2017 – non solo presenta opere magnifiche ma trasuda un lirismo sentimentale potente grazie alle eleganti pareti di velluto che le circondano. La galleria rappresenta sia un luogo espositivo, sia un’espressione di gesti, sguardi, intenzioni e memorie delle sue fondatrici. Madre e figlia unite dall’amore per l’arte e per il pubblico, hanno introdotto linguaggi artistici contemporanei inesplorati in un contesto dove c’era una forte necessità di arte.

La prossima mostra JOE SORREN: Between The Wrinkles  sara’ aperta al pubblico dal 12 marzo al 6 aprile 2014.

Dorothy Circus Gallery London
Dorothy Circus Gallery London – entrance (copyright Dorothy Circus Gallery)

 

La Dorothy Circus Gallery, fondata nel 2007, si propone di innovare l’arte contemporanea, privilegiando il Pop Surrealism e le avanguardie figurative

Cominciamo con la domanda fondamentale: come e perché è nata la vostra
galleria?

La Dorothy Circus Gallery è stata fondata da me e mia madre nel 2007, con la missione di offrire al nostro pubblico un nuovo tipo di arte contemporanea, che si discostava da quella ufficiale di quegli anni, dominata dal concettuale.
Quello che volevamo fare era dare voce alle avanguardie figurative del contemporaneo. L’idea è nata in seguito ad un viaggio negli Stati Uniti dove sono entrata in contatto per la prima volta con il movimento del Pop Surrealism. In quel periodo pensavo di lasciare l’Italia per la California, ma ho poi capito di voler portare nella mia città, Roma, quello che avevo scoperto. Dopo accurate ricerche e studi, in particolare sul Big Eyes Movement, e più in generale sul ritorno della pittura figurativa di ispirazione surrealista, io e mia madre, musicista e collezionista d’arte figurativa del ‘700 e ‘800, abbiamo quindi dato vita e forma alla nostra prima Galleria, una galleria che dedicasse la sua ricerca ad un pubblico ampio e diversificato composto sia da collezionisti esperti che da giovani appassionati d’arte e non.
La mia curatela si è sviluppata in particolare in relazione al Pop Surrealismo alla Street Art Newyorkese e all’Asian Pop, per poi abbracciare altri movimenti e forme d’arte.

Quindi avete cercato di unire i vostri gusti artistici pensando anche all’esigenza di un pubblico giovane?

Esattamente, abbiamo unito il nostro amore per l’arte e i nostri gusti artistici nella selezione di opere d’arte figurativa che fossero sia di grande bellezza sia evocatrici di emozioni e sentimenti. Questo ci ha portato ad innamorarci del Pop Surrealismo, un movimento controverso ma affascinante che unisce in sé elementi della cultura pop e del movimento neo surrealista. Più nello specifico, il linguaggio del pop surrealismo è caratterizzato da un mix di pattern familiari, simboli, citazioni e sentimenti universali provenienti dall’arte e dalla psicologia umana, che danno vita a visioni oniriche e spirituali.

Dorothy Circus Gallery London Opening (copyright Dorothy Circus Gallery)

 

Io e mia madre, viaggiando a Los Angeles, abbiamo scoperto artisti come Joe Sorren e Mark Ryden

Chi sono stati i primi artisti che avete scoperto?

I primi artisti che abbiamo scoperto sono stati Joe Sorren e Mark Ryden. Io e mia madre, viaggiando insieme a Los Angeles, abbiamo realizzato che si stava sviluppando un movimento volto al ritorno del figurativo. Essendo entrambe appassionate collezioniste di Period Artworks Questa pittura caratterizzata da una forte carica iconografica e una ricerca tecnica incredibile di rimando ai grandi masters del passato, ci ha profondamente affascinate.

Come avete sviluppato il vostro progetto insieme?

Abbiamo voluto creare uno spazio che potesse assomigliare al salotto di casa nostra, dove gli ospiti potessero sentirsi a loro agio e avvicinarsi all’arte in modo informale. Il mio background come assistente negli studi di pittura e fotografa di scena mi ha aiutato a creare un’atmosfera calda e accogliente. Le pareti rosse della Galleria di Roma, infatti, vogliono anche essere un richiamo esplicito al mio lavoro come scenografa e fotografa teatrale poiché nella scelta cromatica rimandano al Teatro.

E cosa vi ha spinto ad aprire la galleria nel 2007 a Roma, tra l’altro in un quartiere dove di artistico all’epoca c’era ben poco o nulla?

La risposta positiva che abbiamo ricevuto dalle persone che visitavano il nostro “piccolo salotto d’arte” ci ha convinte che fosse il momento giusto per aprire uno spazio dedicato alla nostra visione artistica. Così, nel 2007, abbiamo inaugurato la nostra prima galleria.

L’apertura ha segnato un trionfo istantaneo, con successo continuato per 18 anni, sfidando le critiche iniziali e dimostrando l’appeal universale della nostra varietà artistica

Avete avuto subito successo?

L’apertura è stata un successo immediato, con il pubblico che ha risposto entusiasticamente e ha portato a diversi sold out consecutivi. La varietà dei linguaggi artistici da noi proposti è stata molto ben accolta. Abbiamo presentato e venduto opere che spaziavano dal noir al surreale, dall’arte sentimentale a quella di carattere sociale. Il successo infatti è stato fenomenale sia a livello nazionale che internazionale, nonostante l’assenza, a quei tempi, dei social media. Inoltre, seppur Roma fosse considerata una città provinciale, il suo pubblico si è dimostrato molto aperto e interessato.
Tuttavia, quando abbiamo aperto la nostra prima sede, abbiamo dovuto confrontarci con una critica ostile. I giornalisti, che celebravano prevalentemente codici concettuali e minimalisti, erano rigidi e scettici nei confronti dell’arte da noi proposta. Oggi però, possiamo dire che le previsioni negative di immediata chiusura della nostra galleria sono state smentite, poiché il nostro successo continua da ben 18 anni.

Dorothy Circus Gallery London Exhibition hall
Dorothy Circus Gallery London Exhibition hall (copyright Dorothy Circus Gallery)

 

Aprire la nostra prima galleria è stata una sfida senza precedenti

Come direttrice donna pensi di aver avuto maggiori ostacoli?

Sì, da giovane donna imprenditrici ho dovuto fronteggiare diversi ostacoli. Quando abbiamo aperto la prima galleria avevo solo 26 anni. Senza un background universitario, è stato un percorso difficile. Non abbiamo mai avuto il sostegno dei media mainstream e solo di pochi isolati giornalisti che si sono appassionati al nostro modo di raccontare l’arte. Le grandi opportunità le abbiamo create noi stesse. Entrare nel mondo dell’arte non è stato semplice, per una giovane imprenditrice che partiva da zero, in più non sono mai voluta scendere a compromessi e fare scelte che non fossero interamente coerenti con la mia visione curatoriale. Con mia madre abbiamo sempre seguito la nostra curiosità e il nostro gusto personale, esplorando nuovi talenti senza cercare necessariamente artisti famosi né un riconoscimento personale. Non è mai stato il nostro obbiettivo diventare una blue chip gallery, ma abbiamo piuttosto perseguito l’originalità e l’unicità dei linguaggi visivi contemporanei. Abbiamo da subito esplorato la scena internazionale, introducendo la street art a Roma e aprendoci al panorama giapponese. La nostra ambizione è stata sempre
quella di offrire qualcosa di diverso e che fosse il riflesso di un complesso sentimento attuale in costante divenire e in attesa di definizione, l’arte della globalizzazione che di fatto ha sfidato e tenuto testa ai movimenti all’epoca dominanti.

Il mio lavoro con gli artisti è un’esperienza di apprendimento reciproco

Riesci sempre a costruire e mantenere un rapporto umano con gli artisti che esponi?

Ho iniziato la mia carriera da giovanissima, lavorando con pittori e frequentando atelier artistici quale assistente. Gestire gli artisti non è facile, a volte si ha a che fare con ego esorbitanti e persone con un emotività complesse con le quali è necessario rapportarsi con amore, tatto e pazienza. In questo rapporto però c’è tanto da imparare e da ricevere, gli artisti che rappresento e che si affidano a me diventano più che amici e si cresce insieme, concentrandosi sui progetti e sugli obbiettivi comuni raggiungendo importanti traguardi mano nella mano. Noti delle differenze tra il mercato d’arte italiano e quello inglese?
Ci sono molte differenze. La mia galleria ha sempre avuto un pubblico internazionale, e questo ci ha permesso di avere una visione ampia del mercato. Abbiamo avuto successo soprattutto con i collezionisti based in Asia, grazie alla nostra presenza a Londra che ci ha dato accesso a questo mercato. In Italia abbiamo da sempre un grande sostegno dai collezionisti dall’America, che amano visitare Roma e apprezzano moltissimo il nostro lavoro e i nostri artisti.

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Dorothy Circus Gallery (copyright Dorothy Circus Gallery)

 

Ti consideri un’artista?

No, non mi considero un’artista nel senso tradizionale. Piuttosto mi vedo come una persona che aggiusta le cose, proprio come chi ripara le ceramiche giapponesi con l’oro. Sono una conservatrice che ritrova e riunisce pezzetti mancanti di un discorso che va avanti da secoli, cerco di fare ordine tra le idee, portare alla luce ciò che sento necessario per la collettività e divulgare bellezza.

Mi focalizzo sui desideri del pubblico, promuovendo una Street Art femminile e riflettendo la diversità con artiste e artisti asiatici

Come si è spostato il focus della galleria nel corso degli anni?

Il focus è sempre stato capire quale fosse il desiderio del pubblico in un determinato momento. Questo non per dare risposte, ma per porre altre domande. in fondo penso sia quello il compito dell’arte. Si è parlato tanto di artiste donne, e noi abbiamo un’altissima percentuale di artiste, tanto quanto abbiamo un’alta percentuale di artisti asiatici. Sono due aspetti molto evidenti nella mia curatela. L’arte orientale mette l’accento spesso sulla spiritualità e questo è un punto che mi interessa molto. Da donna, inoltre, ho sentito sempre l’esigenza di dare voce alle artiste donne. Mostrando la varietà del linguaggio femminile e portarlo alla luce anche nella Street Art (o Urban Art).
Secondo me, infatti, la street art ha preso piede in qualche modo attraverso un linguaggio fortemente maschile, e io ho cercato costantemente di promuovere una Street Art fatta di donne e che parlasse con il linguaggio femminile, molto diverso da quello maschile.

Cose ne pensi delle mostre online, le cosiddette gallerie virtuali?

In generale, preferisco progetti studiati e ben curati. Non amo le cose fatte in poco tempo e con poca cura. Dobbiamo dare il giusto peso e valore all’arte. Penso che l’arte debba essere presentata nel modo migliore possibile, anche se ciò significa sacrificare la quantità per la qualità. Detto questo, per me l’arte, le mostre, vanno vissute nel senso più fisico possibile. Le visite virtuali, purtroppo, non possono rendere la bellezza delle visite fatte di persona. Le opere andrebbero sempre “vissute” dal vivo.

Alexandra Mazzanti, direttrice della Dorothy Circus Gallery (copyright Luigi Russo)
 
Il legame con l’arte orientale si è rinforzato dopo la perdita di mia madre sette anni fa, una figura chiave che ha forgiato la mia passione artistica fin dall’infanzia
 

Tra le le varie cose che hai detto e in particolare due mi hanno colpito moltissimo: a microfono spento mi accennavi della tua infanzia da figlia unica, circondata da questi dipinti che ti parlavano, accendevano la tua fantasia. Come dei fantasmi che facevano parte della tua vita. A questoproposito, vorrei chiederti se potresti condividere il tuo primo ricordo legato all’arte.

Sì, quei dipinti che mi circondavano parlavano direttamente alla mia immaginazione. Inoltre, mia madre è venuta a mancare sette anni fa, e anche per questo motivo il mio legame con l’arte orientale, estremamente spirituale, si è rafforzato. Non sono una persona religiosa, ma credo molto nella spiritualità. Uno dei primi ricordi legati all’arte credo sia stato proprio quello che ha avviato il mio percorso. Mia madre era per me un mito, una donna incredibile, nonché un’eccellente pianista. Era una persona eclettica: nella sua vita ha anche aperto una scuola di danza, e prima della scuola di danza aveva avviato una casa editrice dedicata alla pubblicazione di tecniche della danza. Non da ultimo, era anche una madre che dopo il divorzio doveva badare a sua figlia. Era una vera forza della natura e il mio modello di donna ideale.
Quando avevo all’incirca 7 o 8 anni mi fece scegliere da un catalogo un’opera d’arte che di li a poco sarebbe stata presentata in ‘asta. Tornata a casa ritrovai quella meravigliosa opera ad aspettarmi. In quel momento ricordo di aver provato una gratitudine immensa. Ero piccola ma si fidava del mio giudizio e del mio gusto e voleva che fossi partecipe con lei della sua passione per l’arte, e che costruissi insieme a lei la sua collezione.

Anche tu sei madre. I tuoi figli hanno intenzione di portare avanti la Legacy della Dorothy Circus Gallery?

Lo spero tanto! Insieme ai miei figli abbiamo dato vita alla Fondazione Maddalena Di Giacomo – a nome e in memoria di mia madre. Con sede permanente a Venezia, a partire dal 2026, ci sarà una collezione concepita per essere un ponte tra il passato e il nostro presente contemporaneo. Per l’apertura stiamo lavorando ad una mostra multi sensoriale che darà inizio ad un progetto espositivo unico ne suo genere.

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Silvia Pellegrino
Silvia è una scrittrice italiana, nata e cresciuta a Roma, e attualmente residente a Londra. Si è appassionata alla scrittura fin da quando era bambina, e ha iniziato a comporre poesie all'età di dieci anni. Cresciuta in una famiglia matriarcale, ha sviluppato un interesse per l'universo femminile, che ha ispirato il suo libro di racconti 'The Spoons'Tales'. Quest'ultimo, ancora in lavorazione, racconta le donne, indagando diversi temi: dalla sessualità al rapporto con il proprio corpo; dall'amore alla morte. Appassionata sia di letteratura che di cinema, ha scritto la sceneggiatura del cortometraggio di video-poesia 'The Molluscs Revenge', diretto e prodotto dalla società di produzione video @studio_capta, nel 2020. Silvia ha individuato nella videoarte e nella videopoesia il perfetto contenitore di contenuti dove far incontrare linguaggi diversi, percepiti come strumento di analisi interpretativa in grado di reificare le diverse sensibilità artistiche, trasformandole in immagini poetiche. Ha collaborato inoltre con il quotidiano nazionale online @larepubblica e la rivista @sentieriselvaggi scrivendo diversi articoli e recensioni cinematografiche dal 2012 al 2016. Nel 2020 il suo racconto “Una lupa mannara italiana a Londra” è stato uno dei vincitori del concorso di scrittura @IRSE RaccontaEstero.

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