Quand’ero ancora una “studentessa universitaria, triste e solitaria, nella sua stanzetta umida” (comincio col citare Cristicchi, perdonatemi, è pur sempre sabato mattina), decisi alla fine del mio percorso di incentrare la tesi su un tema che poi mi è rimasto per sempre a cuore: la satira politica, e in particolare, la storia della satira politica in Italia.
Lessi tutto Rabelais, divorandolo con ardore, cercai copie di Cuore, studiai L’Asino e Il Marc’Aurelio; contattai Vauro, andai a cena fuori con Luttazzi in un ristorante dove all’entrata mi presero il cappotto, e il mio approccio fu simile a quello di Cristiano Gardini (Christian De Sica) nella scena in cui sale sullo yacht nel film Fratelli d’Italia. Insomma, non era solo per conquistare l’inquisizione universitaria che mi misi di punta per scrivere la tesi: a quella ricerca ci tenevo davvero.
Le donne-giullare
Ora, come dedurrete, studiando la satira non si può non citare il ruolo imprescindibile del giullare medievale. Su questa figura sono stati scritti saggi, romanzi, opere teatrali, ecc. Il giullare come strumento-corpo che denuncia le brutture e le ingiustizie, che schiaccia i potenti attraverso il sorriso sardonico è centrale nella nostra storia. In questo quadro senza cornice però ci sfugge, il più delle volte, la presenza delle donne-giullare, perché estremamente esiguo il numero di quelle conosciute.
Il lascito di Franca Rame
Giunti fino a noi infatti sono tre nomi “d’arte” principali: Thomasina De Paris, Jane Foole e Lucretia The Tambler. Descritte come creature mostruose, bizzarre, deformi, queste tre donne esercitarono le loro virtù senza alcun riconoscimento, né in vita né post mortem. Same, old story. Facendo un piccolo gioco di mente, provate però ad immaginarvele queste artiste del sorriso amaro alla corte di Anna Bolena o di Maria La Sanguinaria. Animali da piazza scambiate e addomesticate come animali da compagnia. Facendo un salto lungo nella storia della satira al femminile, la nostra eredità contemporanea ha altresì un contributo imprescindibile, lasciato da un’artista su tutte: Franca Rame. Sublime e scandalosa, di una potenza straordinaria, Franca Rame ritrova nel vero e proprio spettacolo di musica jazz, tenutosi in seno all’EFG London Jazz Festival la scorsa domenica e performato dal Filomena Campus Quartet, il ritorno del suo corpo scenico.
I chiodi della ragione
Filomena Campus accompagnata da Steve Lodder (pianoforte), Charlie Pyne (contrabbasso/voce) e Rod Youngs (batteria) fonde nei suoi “accadimenti artistici” improvvisazione, poesia, realismo magico, denuncia sociale, politica, fiaba, leggenda, radici, risata e ovviamente musica, restituendo al pubblico un unicum che, citando le sue parole, a loro volta derivate dal pensiero artistico di Franca Rame, fanno rimanere ”con la mente [spalancata], in modo che entrino i chiodi della ragione”.
La potenza di Filomena Campus
La Campus, avvolta da un meraviglioso pizzo sardo, ha indossato maschere e nasi rossi, ha scoperto il volto mostrando un altro tipo di sorriso, quello di un’artista consapevole della sua potenza. E quella potenza ci è arrivata tutta. Non so se capita anche a voi la spontanea reazione al bello, che vi fa chiudere gli occhi, accarezzare la musica nell’aria, e sorridere. È l’arte che penetra il pensiero, accendendo una passione che si dipana nel corpo.
Quando Filomena Campus è scesa dal palco, ed è stata immediatamente circondata di persone che le hanno trasmesso il loro plauso, ho aspettato pazientemente il mio turno, e quella passione che aveva acceso in me si è tradotta in un abbraccio ricambiato. Lungi dal voler essere troppo cheesy, il messaggio che voglio mandare è un altro: quando una donna ispira e converge la sua ricerca artistica nella maniera più assoluta possibile, questo si traduce in un atto d’amore che paragono personalmente alla lettura dei libri di Rossana Campo, i quali continuano a salvarmi sin da quando ero molto giovane.
L’ultima creazione corale del Filomena Campus Quartet, i cui componenti ringrazio uno per uno, è insomma preziosa, coinvolgente, musicalmente raffinata e adornata da un umorismo di pirandelliana memoria che fa riflettere e riscoprire le “maschere” della nostra coscienza. Ancora grazie.