Tra due mondi: la giornalista Sabrina Provenzani racconta la genitorialità, l’educazione e la cultura italiana a Londra

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Per la serie ”Donne brillanti e dove trovarle”  ho avuto il piacere d’intervistare Sabrina Provenzani, giornalista professionista dal 2004. Oltre ad aver lavorato Per Sky Italia (Controcorrente), RaiDue (Radio-Caterpillar e AnnoZero), La7 (Gli Intoccabili), e attualmente con il Fatto Quotidiano come inviata da Londra, è anche Vicepresidentessa Stampa Estera, cofondatrice AMINa, e collabora con il media civico britannico The Citizens.

Ma non finisce qui.

Sabrina è anche mamma della criatura, termine che arriva dal suo ”lessico famigliare” e utilizzato nei racconti flash che posta sulle sue pagine social

Sabrina è anche mamma della criatura, termine che arriva dal suo ”lessico famigliare” e
utilizzato nei racconti flash che posta sulle sue pagine social (di cui sono una grandissima
fan) condividendo gioie e dolori di una mamma (expat). La criatura in questione si chiama
Anita, una brillante dodicenne born and bred in London da genitori italiani.

Condividendo con noi il suo punto di vista da madre, expat, intellettuale e scrittrice, Sabrina ci racconta l’esperienza genitoriale in UK, a partire dal parto fino alla scuola.

Sabrina Provenzani, giornalista, scrittrice, mamma di Anita
Sabrina Provenzani, giornalista, scrittrice, mamma di Anita

Ciao Sabrina, grazie davvero per la tua presenza, anche sui social. Sappi che i tuoi scritti controbilanciano gli interventi delle mamme ”pancine”. Partiamo dunque da principio. Hai partorito a Londra?

Sì, sono arrivata in Inghilterra alla ventisettesima settimana di gravidanza. Mio marito era
arrivato un anno prima per lavoro. All’epoca io mi occupavo di un programma investigativo
su La7, ma entrambi eravamo impantanati in dinamiche lavorative italiane non più tollerabili. Tornando alla gravidanza, l’ho gestita praticamente tutta da sola e dovevo decidere se partorire a Londra o in Italia. I medici italiani mi sconsigliavano di partorire a Londra, ma non volevo rischiare che mio marito non riuscisse ad esserci.

Il parto in Inghilterra è meno medicalizzato rispetto all’Italia

E com’è stata l’esperienza del parto qui a Londra?

Prima di arrivare al parto, ho un piccolo aneddoto relativo al viaggio verso Londra. Come dicevo, ero alla ventisettesima settimana e al momento dell’imbarco mi hanno chiesto un certificato medico, che assolutamente non sapevo di dover presentare al gate. Sono stata fortunata perché last minute ho chiamato il mio ginecologo che ha inviato il certificato, e mi hanno permesso di volare. In quel periodo c’era stata La Festa del Cinema di Roma, e solo dopo ho scoperto che sul mio stesso aereo c’era Sharon Stone. Recentemente ho raccontato ad Anita che quando ancora non era nata, fece aspettare una star di Hollywood in fila all’aeroporto!

Tornando al parto, in Inghilterra è meno medicalizzato rispetto all’Italia. Ero considerata gravidanza a rischio per l’età e per alcune caratteristiche fisiche, ma ho anche avuto la fortuna di avere una specialista accanto e monitoraggio costante dei miei livelli. È stata una bella esperienza.

Sono la cofondatrice di un’organizzazione di volontariato, AMINa, focalizzata sul parto consapevole e sulla salute riproduttiva

Che mi dici dell’accompagnamento al parto invece? Hai ricevuto costante
informazione?

Dipendeva dalle ”fasi”. Durante il corso preparto per esempio mi era stata sconsigliata l’epidurale. Io ho insistito, mentre due giovani neo mamme che hanno seguito le indicazioni non hanno avuto una esperienza felice. Nonostante io apprezzi molto il servizio offerto da NHS, credo che, qui come in Italia e anche altrove, l’informazione non sia completa e molte donne non vengano consigliate o rese consapevoli di cosa possa essere giusto per loro. La violenza ostetrica* è una terribile realtà che attraversa tutti i confini, dall’Etiopia all’Inghilterra, ed è una questione assolutamente urgente da affrontare. Proprio per questo motivo sono la cofondatrice di un’organizzazione di volontariato, AMINa, focalizzata sul parto consapevole e sulla salute riproduttiva.

È un’iniziativa davvero lodevole se non imprescindibile, grazie per averla condivisa. Ti va ora di raccontarci l’approccio al sistema scolastico, partendo dal nido?

All’inizio l’ho mandata da una childminder per poche ore alla settimana. Dopo è andata a un piccolo nido molto hippie. Successivamente abbiamo scelto una scuola materna privata vicina a casa, in cui avevano un approccio molto accademico e competitivo. Approccio questo che è risultato quasi traumatico, tanto per me quanto per Anita. E’ un sistema che per alcuni bambini si rivela controproducente perché genera una pressione psicologica eccessiva a quell’età.

Mi pare di capire poi che Anita sia sempre stata una bambina estremamente creativa e anche molto indipendente.

Si, esattamente, è più creativa, meno ”accademica’’ e non era adatta a quel tipo di approccio. Ho notato questa dicotomia anche nella classe elementare. Abbiamo, poi affrontato l’11+, un esame propedeutico per accedere alle superiori, che è molto selettivo. Si tratta infatti di un esame accademico usato principalmente per l’ammissione alle scuole private e alle grammar school in Inghilterra e Irlanda del Nord.

Ma è un esame obbligatorio per accedere a qualsiasi tipo di scuola superiore?

No, se si decide d’iscriversi ad una scuola statale vicino casa per esempio, si ha l’accesso senza particolari esami, se non quelli di fine percorso. Al contrario, per le scuole private c’è un esame, che è terribilmente complesso, e a meno che non si tratti di bambini unicorno, dei geni, si ha necessariamente bisogno di ripetizioni. Il che ovviamente comporta una spesa non indifferente.

Ci sono intere fasce della popolazione che non hanno le possibilità economiche per affrontare certe spese e, se non hanno la fortuna di trovare gli insegnanti giusti, vengono completamente abbandonate

Che non tutti possono permettersi…

Esatto. Per non parlare delle grandi scuole d’élite dell’aristocrazia britannica. Quelle si tramandano di genitore in figlio. Aggiungo a questo che ci sono intere fasce della popolazione (che spesso coincidono con determinati gruppi etnici) che non hanno le possibilità economiche per affrontare certe spese e, se non hanno la fortuna di trovare gli insegnanti giusti, vengono completamente abbandonate.

Quindi si tratta di un sistema estremamente classista, e non meritocratico.

Una parte di meritocrazia esiste, perché ci sono alcune scuole superiori pubbliche per esempio, che fanno un eccellente lavoro di formazione, selezione, incoraggiamento degli studenti che magari non hanno le possibilità economiche. Inoltre, alcune scuole private hanno borse di studio significative che consentono di accedere per merito.

L’istruzione è ancora uno strumento importante per la mobilità sociale, ma il sistema resta anche estremamente classista

E per quanto riguarda i ragazzi con bisogni speciali?

Non sono un’esperta in materia: quello di cui mi sono resa conto è che la maggior parte delle scuole private ti convincono di avere una particolare attenzione e una cura, quasi ad personam, dei ragazzi con special needs ma questo non è sempre vero. Da questo punto di vista è meglio andare alle scuole pubbliche che hanno l’obbligo di sviluppare programmi ad hoc per ragazzi con bisogni speciali.

Il sistema educativo nel Regno Unito è un po’ il riflesso di un paese che ha subito l’influenza dei Tories per 13 anni. La scuola è al centro dell’attenzione politica, e il dibattito e’ continuo, perché l’istruzione è ancora uno strumento importante per la mobilità sociale, ma il sistema resta anche estremamente classista.

E come cambia l’esperienza alle superiori?

Alle superiori c’è un grande cambiamento nel curriculum che se da una parte incoraggia l’autonomia degli studenti, all’inizio può essere un po’ frustrante.

Per quanto riguarda l’insegnamento vero e proprio, disapprovo la mancanza di rigore nello studio della grammatica e soprattutto della storia. Ma ci sono anche molte opportunità extracurriculari interessanti, sia nelle scuole private che in quelle pubbliche. I cosiddetti club che possono andare dalle lezioni di teatro a quelle della lingua cinese, da coro a meditazione.

No pinapple on pizza, illustrazione di Simona De Leo

A Londra vedo un’apertura mentale diversa, non c’è una gerarchia degli interessi, e questo si riflette in una società dotata di un’industria culturale più dinamica

E il bilanciamento tra materie umanistiche e scientifiche in generale come ti sembra?

Secondo me l’Italia ha ancora un problema di nozionismo e di prevalenza delle materie umanistiche rispetto alle altre, per cui si ha l’impressione (sbagliata) che l’unica via per imparare a pensare sia frequentare il liceo classico. A Londra invece, vedo un’apertura mentale diversa, non c’è una gerarchia degli interessi, e questo si riflette in una società dotata di un’industria culturale più dinamica. Sin dalla scuola vieni incoraggiato a esplorare con lo stesso livello di rispetto tanto il greco antico quanto la danza. Sarebbe bello importare questo approccio anche in Italia.

L’educazione sessuale qui è obbligatoria se non sbaglio. Cosa ne pensi del
programma?

Anita ha cominciato a 9 anni e continua anche alle superiori. Oltre a quella che chiamiamo educazione affettiva, in classe si parla di riproduzione, di organi sessuali maschili e femminili, ecc. Naturalmente alle elementari viene accolta con le risatine, però molto fa anche il sistema educativo della famiglia. Anita per esempio, avendo ricevuto un’educazione sessuale in primis da noi genitori, si è sentita estremamente orgogliosa di sapere già molto rispetto ai suoi compagni.

A meno che non ci sia un’emergenza, non si hanno contatti diretti con i docenti

E per quanto riguarda il rapporto genitori-insegnanti?

Primo aspetto da non sottovalutare è l’isteria da chat su WhatsApp. A meno che non ci sia un’emergenza, non si hanno contatti diretti con i docenti. I colloqui poi non durano mezz’ora come in Italia, ma 5-10 minuti. La mia impressione è che qui sia un po’ più formalizzato, il che può essere un bene.

Se dovessi dare un consiglio ai genitori che non sanno come trasmettere la cultura italiana ai figli piccoli nati qui, direi di associare l’Italia a quello che amano, dalla pizza al gelato alle vacanze

Ti faccio l’ultima domanda. Da madre italiana hai tentato di trasmettere la cultura del nostro paese di provenienza ad Anita?

Certamente. Per quanto riguarda le tradizioni, in casa abbiamo quelle di Natale, di Pasqua, e naturalmente torniamo spesso in Italia. Anita da piccolina si definiva un’italiana di Londra e adesso ha molto chiare queste due identità.

Se dovessi dare un consiglio ai genitori che non sanno come trasmettere la cultura italiana ai figli piccoli nati qui, direi di associare l’Italia a quello che amano, dalla pizza al gelato alle vacanze. Poi certo ci sono dei gap culturali che rimangono. Tipo quella volta in cui Anita mi fece seguire un bambino e la sua mamma all’uscita di scuola. Lui sicuramente le piaceva ma Anita non l’ha mai ammesso, e quando la madre di questo bambino lo esortò a tornare a casa per mangiare la pizza con l’ananas, io non ho potuto fare a meno di dire ad Anitache la cosa non si poteva proprio fare, e lei era d’accordo! Ricordo anche che tempo dopo ad Anita assegnarono degli esercizi di grammatica, spelling, costruzioni di frasi, ecc. E uno dei verbi da utilizzare era ”legalise’’. Anita ha scritto: ”After many years of debate, Italy has finally legalised pineapple on pizza!”

 

* Definita nel quadro normativo della Convenzione di Istanbul, stipulata nel 2011, come una forma di violenza rimasta nascosta per molto tempo, tutt’ora spesso ignorata. (…) Le donne sono vittime di pratiche violente o che possono essere percepite come tali – inclusi atti inappropriati e non acconsentiti, come episiotomie o esplorazioni vaginali realizzate senza consenso, manovre di Kristeller o interventi dolorosi eseguiti senza anestesia. Fonte Nurse24.it

Silvia Pellegrino
Silvia Pellegrino
Silvia è una scrittrice italiana, nata e cresciuta a Roma, e attualmente residente a Londra. Si è appassionata alla scrittura fin da quando era bambina, e ha iniziato a comporre poesie all'età di dieci anni. Cresciuta in una famiglia matriarcale, ha sviluppato un interesse per l'universo femminile, che ha ispirato il suo libro di racconti 'The Spoons'Tales'. Quest'ultimo, ancora in lavorazione, racconta le donne, indagando diversi temi: dalla sessualità al rapporto con il proprio corpo; dall'amore alla morte. Appassionata sia di letteratura che di cinema, ha scritto la sceneggiatura del cortometraggio di video-poesia 'The Molluscs Revenge', diretto e prodotto dalla società di produzione video @studio_capta, nel 2020. Silvia ha individuato nella videoarte e nella videopoesia il perfetto contenitore di contenuti dove far incontrare linguaggi diversi, percepiti come strumento di analisi interpretativa in grado di reificare le diverse sensibilità artistiche, trasformandole in immagini poetiche. Ha collaborato inoltre con il quotidiano nazionale online @larepubblica e la rivista @sentieriselvaggi scrivendo diversi articoli e recensioni cinematografiche dal 2012 al 2016. Nel 2020 il suo racconto “Una lupa mannara italiana a Londra” è stato uno dei vincitori del concorso di scrittura @IRSE RaccontaEstero.

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