Incontro con Tobia Rossi: Hide and Seek dal teatro al libro

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Tobia Rossi, drammaturgo Hide and Seek
Tobia Rossi, drammaturgo Hide and Seek (copyright Tobia Rossi)

In scena al Park Theatre (park90) di Londra fino al 30 Marzo, Hide and Seek si rivela uno dei successi teatrali dell’anno per la Zava Productions (in collaborazione con Lorenzo Mannelli e Park Theatre). La storia di due ragazzi adolescenti, Gio e Mirco, che si ritrovano casualmente in una caverna dove riescono finalmente ad essere se stessi, mentre tutto il mondo resta fuori, nasce dalla creatività geniale di Tobia Rossi, drammaturgo e sceneggiatore italiano dal talento unico.

Questo racconto prende vita dalla drammaturgia Nascondino, dello stesso Rossi, premiato da pubblico e critica cinque anni fa.

E quest’anno, oltre alla piece teatrale Hide and Seek, la storia sta per diventare un libro. Ne abbiamo parlato proprio con l’autore.

“Lo spettacolo in realtà ha già debuttato a Londra, al Vault Festival, nel Febbraio 2023 – racconta Tobia – e torna al Park Theatre in una produzione in parte ampliata dal punto di vista registico e scenografico, con un cambio di cast e anche un po’ con un lavoro mio sullo script e sulla storia”.

Le parti della piece non presenti al Vault Festival erano state tagliate o ancora non esistevano?

Il Vault Festival ha una durata, dei format, dei tempi molto precisi, perché vi si avvicendano tantissimi spettacoli, uno via l’altro. Le rappresentazioni non possono durare più di un tot. C’è per tutti gli spettacoli una durata massima. Quindi abbiamo condensato un pochino la storia. In questo caso, avendo più libertà, abbiamo pensato insieme alla regista e alla produttrice di dare un pochino più di respiro ad alcune parti della narrazione.

E’ una storia che racconta di quanto possiamo scoprirci simili alla persona che invece, normalmente, intendiamo più lontana

Tobia Rossi, drammaturgo Hide and Seek
Tobia Rossi, drammaturgo Hide and Seek (copyright Tobia Rossi).

Se dovessi raccontare Hide and Seek a chi ancora non conosce la storia, a chi non ne ha mai sentito parlare, a chi vuole capire meglio di cosa si tratta, tu come la racconteresti?
Direi che è una storia che parla di chi siamo, che cosa siamo quando nessuno ci guarda. Il giovane protagonista incontra in un luogo totalmente fuori dal mondo e isolato un altro ragazzo che è un po’ il capro espiatorio della comunità, che viene costantemente vessato con umiliazioni continue. In questo luogo “altro” in cui i due personaggi si incontrano, in questo luogo sospeso, che è un luogo lontano dagli spazi governati dalle regole sociali, quindi lontano dalla scuola, dal paese, dalla comunità, nasce qualcosa di diverso. I due personaggi si conoscono per quello che sono davvero. E’ una storia che racconta di quanto possiamo scoprirci simili alla persona che invece, normalmente, intendiamo più lontana.

La regia di questo lavoro teatrale è di Carlotta Brentan. E’ sempre stata lei la tua regista o è la prima volta che lavori con lei?

Carlotta Brentan ha un ruolo-chiave nella vita di Hide and Seek in generale, perché è anche la traduttrice del testo, quindi lei ha realizzato la versione inglese facendo una splendida traduzione, una vera e propria riscrittura dell’opera originale in italiano. Ha ricreato il linguaggio, lo ha sostanzialmente un po’ riscritto, come sempre accade quando si traduce in modo assennato. Tutte le versioni di Hide and Seek presentate all’estero sono state tradotte da lei. E’ in primo luogo un’attrice ma è anche regista, quindi in questa specifica produzione ha anche curato la regia. Ed è stato molto interessante perché è un testo che lei conosce molto bene, dopo di me o forse anche meglio di me. Inoltre lei ha anche uno sguardo, uno stile, un linguaggio molto affine a quello della storia, che è il linguaggio iper-realistico fatto di silenzi, di sguardi, quasi cinematografico e che particolarmente si addice a questo tipo di racconto, così intimo.

Tu sei drammaturgo, sceneggiatore, story editor…
… e insegnante. Insegno teatro e scrittura in diversi teatri e scuole di Milano, collaboro da qualche tempo col teatro Franco Parenti e con la Scuola Civica di Cinema, ma tengo anche tanti laboratori in scuole pubbliche, licei e scuole medie.

La versione italiana dello spettacolo ha catalizzato l’attenzione di una editor, che mi ha chiesto se mi andasse di scrivere un romanzo per ragazzi adolescenti

Tra non molto Hide and Seek diventa un libro. Com’è nata questa idea?

Grazie per questa domanda, la storia è molto particolare. Il romanzo uscirà a Maggio, quindi tra poco. Grazie a una serie di fortunati incontri e fortunati eventi, la versione italiana dello spettacolo ha catalizzato l’attenzione di un editore, di una editor, che mi ha chiesto se mi andasse di scrivere un romanzo per ragazzi adolescenti, partendo da questa storia. Io, anche un po’ in soggezione, perché sono sceneggiatore e drammaturgo ma non ho nessuna esperienza di narrativa (se non chiaramente come lettore appassionato), ho “studiato” la storia pezzo dopo pezzo mettendomi alla prova attraverso una serie di step nella scrittura di questo romanzo. La cosa è andata bene, grande ruolo ha avuto il rapporto tra me e questa editor, Marta Mazza (Editore Mondadori), insieme alla quale si è costruita l’idea di questo romanzo che amplia il racconto del testo teatrale, quindi crea tutta una serie di percorsi, di personaggi secondari. Dice tutto quello che nel testo teatrale non viene detto, per una questione di sintesi. E’ come se fosse una versione ampliata di quella storia e del suo mondo. Sono molto contento del risultato, non vedo l’ora che esca.

Hide and Seek di Tobia Rossi
Hide and Seek di Tobia Rossi (copyright Mariano Gobbi).

Uno degli elementi portanti è proprio il mondo della provincia capace di produrre gradi spinte in avanti

Vivi a Milano, ma sei originario di Ovada (AL). Il fatto di provenire da un piccolo centro di provincia quanto può aver influito sulla narrazione di questa storia?

Totalmente, al duecento per cento. E’ una narrazione figlia di questo mio passato, di questo mondo legato alla mia infanzia, alla mia adolescenza, che per me è il mondo del racconto. Spesso tendo ad ambientare, a progettare storie in questa arena narrativa che è la provincia, nello specifico la provincia del Nord (Italia, n.d.r.) che è connotata in un certo modo, e credo che ci sia tutto quello in questa storia, assolutamente. E’ una storia che ha una forte identità da quel punto di vista. Chiaramente la provincia che viene raccontata, sia nel testo teatrale che nel romanzo, non è la provincia di quando io avevo l’età dei giovani protagonisti, ma è la provincia di adesso, per cui è diversa, certe cose a livello di consapevolezza, di sguardo sul mondo sono un po’ slittate, quindi mi ha interessato osservarle e studiarle, anche confrontandomi con esperti oltre che con abitanti, amici, parenti. Per rispondere alla tua domanda: sì, uno degli elementi portanti è proprio il mondo della provincia, in qualche modo isolata, in qualche modo sempre un po’ diversa, ma a volte proprio perché così isolata, proprio perché un po’ alla ‘periferia dell’impero’, capace di produrre gradi spinte in avanti.

Ma la provincia di oggi è più aperta rispetto alla provincia di quando eri ragazzo tu?
In qualche modo mi sembra che sia più connessa, nel senso che ha proprio delle finestre, tipo quelle dei social, enormi, che hanno anche i giovanissimi sul mondo, e su mondi anche molto lontani, con la possibilità di raggiungere immediatamente grandi spazi molto distanti, realtà molto lontane. Tuttavia c’è comunque questo filtro dei social su realtà che si possono contattare, come la realtà della città, vicina e lontana allo stesso tempo. Anche se comunque certe cose restano immobili. E io, rispetto a questo, mi sono molto messo in discussione, ho fatto molta attenzione, nella scrittura, per non commettere l’errore di pensare a me adolescente… Ho cercato di essere molto accurato in questa ricerca, in questa indagine; è stata poi una scoperta vedere che alcune cose, tutto sommato, non sono così tanto cambiate.

La tua scelta di trasferirti a Milano è stata essenzialmente professionale, personale, un po’ l’una e un po’ l’altra… oppure è stata una fuga?

E’ stata un po’ di tutte queste cose. Certo, io avevo un “motore” particolare, cioè la passione per il teatro e per la scrittura, per me questa cosa è stata un ‘grimaldello’ per entrare nella grande città e conoscere mille altre realtà. Ricordo che non vedevo l’ora di uscire da quei perimetri così chiusi, più che altro per poi incontrare persone più simili a me, che potessero condividere i miei stessi interessi, desideri, inclinazioni. Sono arrivato a Milano subito dopo la Maturità, nel 2005.

In generale mi piacciono quegli autori che mettono la loro conoscenza delle strutture narrative al servizio di un’intelligenza emotiva e al servizio di una comunicazione rivolta a tutti

Quali sono gli scrittori che ami leggere, e che potrebbero anche un po’ averti influenzato?

Mi piace molto la narrativa americana, Stephen King, ma anche e forse soprattutto Joyce Carol Oates (una delle mie autrici preferite). Mi piacciono anche i classici italiani: Cesare Pavese, Piero Chiara, Beppe Fenoglio. Ovviamente Calvino. Penso che “Nascondino” sia stato influenzato dal mio romanzo preferito che è “Il signore delle mosche” di William Golding, che mescola durezza e favola nera. 
Per quel che riguarda la drammaturgia, quindi testi teatrali, il mio modello è proprio la scuola inglese: Dennis Kelly, Philip Ridley, Alexi Campbell, Mike Bartlett e l’americano Tony Kushner. Ma amo anche molto il cinema: Todd Solondz, Jane Campion, Guillermo del Toro.
In generale mi piacciono quegli autori che mettono la loro conoscenza delle strutture narrative al servizio di un’intelligenza emotiva e al servizio di una comunicazione rivolta a tutti.
E chissà che, dopo il teatro e la letteratura, Hide and Seek non possa fare capolino anche al cinema, per incontrare un pubblico ancora più ampio. Sarebbe un altro, autentico successo.

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