Con Manuela D’Amore scopriamo le Literary voices della diaspora italiana in Regno Unito

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Manuela D'Amore, docente universitaria e autrice del volume Literary voices of the Italian Diaspora.
Manuela D'Amore, docente universitaria e autrice del volume Literary voices of the Italian Diaspora.

Parla Manuela D’Amore, l’autrice che ha dedicato il suo libro alle “Literary Voices of the Italian Diaspora in Britain”, un omaggio all’opera di l’opera di ventuno autori italiani attivi in Gran Bretagna dagli anni ’30 ad oggi.

Ecco la prima ricerca sulle Literary voices della diaspora italiana nella storia del Regno Unito dagli anni Trenta ad oggi

"Literary Voices of the Italian Diaspora in Britain - Time, Transnational Identities and Hybridity" è il nuovo libro di Manuela D’Amore.
“Literary Voices of the Italian Diaspora in Britain – Time, Transnational Identities and Hybridity” è il nuovo libro di Manuela D’Amore.

“Literary Voices of the Italian Diaspora in Britain – Time, Transnational Identities and Hybridity” è il nuovo libro di Manuela D’Amore, professoressa associata di Letteratura inglese presso l’Università degli Studi di Catania, che si interessa di scrittura di genere, viaggio e fenomeni culturali in prospettiva anglo-italiana.

Autrice di saggi, edizioni critiche e monografie, ha ottenuto il Premio ANDA 2018 per The Royal Society and the Discovery of the Two Sicilies: Southern Routes in the Grand Tour (Palgrave Macmillan 2017). Literary Voices of the Italian Diaspora in Britain: Time, Transnational Identities and Hybridity è stato pubblicato da Palgrave Macmillan a settembre 2023.

Il volume studia l’opera di ventuno autori italiani attivi in Gran Bretagna dagli anni ’30 ad oggi, mostrando come la comunità italiana è stata rappresentata nelle opere letterarie italo-britanniche. Ne abbiamo parlato con l’autrice.

Considerando l’obiettivo del suo libro, conferire il giusto riconoscimento a diverse generazioni di scrittori italo-britannici, a che tipo di pubblico si rivolge in particolare?

“Come studiosa che per la prima volta ha scelto di occuparsi di un fenomeno contemporaneo tanto attuale, ho subito provato a immaginare chi avrebbe potuto interessarsi a questa prima ricostruzione storico-letteraria. Subito, non lo nego, ho pensato alla mia comunità scientifica di riferimento: a quella degli anglisti, ma anche a chi lavora nel campo della comparatistica e dell’italianistica. Sono convinta che il lavoro di ricerca che verrà portato avanti in futuro sarà indispensabile per approfondire la conoscenza su questi primi 21 autori e autrici. Ma non è tutto. Essendo il mio obiettivo quello di fare conoscere anche la loro produzione letteraria, ho scelto di rivolgermi anche a membri della comunità italiana – uomini e donne le cui famiglie si sono stabilite in Inghilterra, Scozia e Galles sin dal periodo post-unitario – così come a tutte le associazioni culturali italo-britanniche perché si creasse una fitta rete di scambi su questi temi. Per questo, sebbene Literary Voices of the Italian Diaspora in Britain sia frutto di un lungo e complesso progetto di ricerca, ho scelto un tono quasi narrativo che dia modo anche al lettore non specialista di seguire facilmente i complessi intrecci tra la grande Storia e le straordinarie vicende individuali dei diversi protagonisti. Ultimi ma non ultimi, poi, nel mio disegno iniziale, gli autori e le autrici. Ho provato a contattare tutti coloro che sono ancora attivi sulla scena letteraria britannica, e al di là della loro scelta di collaborare, mi sono impegnata a comunicare al meglio l’essenza dei loro lavori. Posso dire, avendo sentito alcuni di loro dopo l’uscita del volume, di essere riuscita nel mio intento. Credo anche di avere dato loro modo di avere un quadro complessivo di quel filone di scrittura che hanno contribuito a creare”.

Otto anni di lavoro per il Magnus Opus sugli scrittori italo-britannici

Manuela D'Amore, docente universitaria e autrice del volume Literary voices of the Italian Diaspora.
Manuela D’Amore, docente universitaria e autrice del volume Literary Voices of the Italian Diaspora in Britain.

C’è chi definisce questo volume la sua “magnum opus”. È d’accordo con questa definizione?

“Lei sta citando la storica Terri Colpi, una vera autorità negli Studi della migrazione nel Regno Unito, che ha molto apprezzato Literary Voices. Sono ovviamente felice e onorata, ma credo che lei volesse più dare risalto all’alto numero di autori, autrici e opere che sono riuscita a trattare. Direi che, nell’assenza di studi sistematici, il mio sforzo di dare un quadro il più possibile esaustivo di questo filone letterario è stato già sicuramente premiato. Mi aspetto adesso, anche rispetto alla mia ultima fortunata monografia, The Royal Society and the Discovery of the Two Sicilies: Southern Routes in the Grand Tour (Palgrave Macmillan 2017 – Premio ANDA 2018), che l’impatto socio-culturale di Literary Voices sia forte”.

In quanto tempo è nato questo libro, tra ricerche, stesura e pubblicazione?

“Come ho scritto nella sezione “Ringraziamenti”, questo progetto di ricerca nasce inaspettatamente dalla mia attività didattica. Mi sono imbattuta nelle prime narrazioni letterarie della migrazione italo-britannica – Isle of the Displaced. An Italian Scot’s Memoirs of Internment in World War Two di Joe Pieri (1997), Dear Olivia. An Italian Journey of Love and Courage di Mary Contini (2006) e Hokey Pokey Man di Anita Arcari (2010) – nel 2016, quando ho avuto la necessità di disegnare il primo corso di Comparative English Literature del Corso di Laurea Magistrale in Lingue e Letterature Comparate dell’Università di Catania. Vista la risposta entusiastica dei miei studenti e delle mie studentesse, ho deciso di diversificare e ampliare il più possibile il syllabus, impegnandomi a scoprire nuovi autori e opere, ma soprattutto dando inizio a una lunga e complessa attività di ricerca. Da allora – fino ad arrivare alla pubblicazione del volume – sono trascorsi complessivamente 8 anni, di cui 5 di ricerca e 3 di stesura e pubblicazione. In questo senso, ritornando al pubblico di lettori di Literary Voices, appare chiaro come io abbia sempre pensato anche al mio gruppo di studenti e studentesse”.

Il libro parla, tra le molteplici tematiche, anche delle tradizioni degli italiani andati a vivere in UK: ha qualche curiosità legata, ad esempio, ai cibi italiani protagonisti della fase di transizione?

“Certamente. Queste narrazioni si legano principalmente a tre realtà regionali del nostro Paese: la Val di Comino nel basso Lazio, la Garfagnana nel nord della Toscana e la Val di Ceno in Emilia. Ci sono anche voci dell’area del Lago Maggiore e della Liguria, ma è un fatto che, dal punto di vista delle tradizioni culinarie, predomina la Ciociaria con i suoi straordinari odori e sapori. Potrei fare menzione, ad esempio, dei “pastoni” dei piccoli centri rurali della Val Comino, del più conosciuto abbacchio laziale, così come della polenta di castagne e del “biroldo” tipici della zona di Barga in provincia di Lucca. In qualche caso, poi, penso, ad esempio, alla scrittrice italo-scozzese Mary Contini, si fa riferimento anche ai piatti napoletani, dagli “spaghetti sciuè, sciuè” alla più nobile pastiera napoletana. Il libro, comunque, parla soprattutto di processi di transizione e ibridazione anche nella preparazione dei cibi. Non dimentichiamo, ad esempio, il caso del fish and chips: basti pensare che in Scozia fino al secondo periodo bellico l’80% delle friggitorie era gestito da italiani. Come dire che dal “pesce e patate” toscano i nostri connazionali sono riusciti a farsi spazio anche nella più tradizionale cucina britannica”.

Scrittori italiani in Regno Unito, è mancato un progetto unitario

Secondo lei che cosa è mancato finora affinché gli scrittori italo-britannici ricevessero per tempo il giusto riconoscimento del proprio lavoro, alla pari degli autori italo-americani o italo-australiani?

“Questa è una domanda che mi sono subito posta anche io e a cui ho provato a dare una risposta anche nell’appendice del mio libro, in cui non solo presento le 21 literary voices che rientrano nel volume, ma in cui traccio un breve profilo di questo filone letterario su base regionale. Credo che la mancanza di riconoscimento della comunità scientifica sia dovuto a due principali fattori: il primo è che gran parte di questi autori e di queste autrici ha scelto di dedicarsi solo sporadicamente alla scrittura e in una stagione molto avanzata della propria vita. Il secondo è che, sebbene ognuno di loro fosse perfettamente integrato nella comunità italiana, raramente – e per lo più in Scozia – si è assistito alla formazione di un progetto culturale unitario. Soprattutto quest’ultimo fattore ha diminuito il loro impatto sul mercato editoriale e, quindi, la loro rilevanza agli occhi degli studiosi italiani e britannici. A giudicare dall’interesse anche solo degli anglisti italiani nei confronti di questo volume, posso prevedere che nel prossimo futuro si registrerà un deciso incremento di studi su queste voci. La sfida, poi, sarà quella che si giocherà oltreoceano, nel momento in cui la critica italo-americana, italo-canadese e italo-australiana vorrà interessarsi anche a queste opere. Il mio intento era anche quello di riempire un vuoto importante negli studi della diaspora italiana nei paesi di area anglofona. Spero di essere stata il più possibile convincente”.

Le recensioni del suo libro sono tendenzialmente entusiastiche, a detta di editori, ricercatori e professori universitari. La sensazione era che finora sinceramente mancasse un lavoro come questo suo. Secondo lei, l’argomento è tanto avvincente quanto complesso da affrontare, che nessuno ci si è mai cimentato prima? Il suo è stato un atto di coraggio? Una sfida?

“Il mio è stato sia un atto di coraggio che una sfida. Soprattutto con me stessa. Chi mi conosce come studiosa sa che mi sono sempre confrontata con autori e opere inglesi in particolare del Settecento e dell’Ottocento vittoriano. A parte le perplessità iniziali legate alla scelta di indagare per la prima volta la contemporaneità, i lunghi anni in cui ho portato avanti la mia ricerca sono stati segnati davvero da molti dubbi e ripensamenti. Mancavano gli studi sistematici su questo filone della diaspora italiana, ma quello che è più importante, l’individuazione degli autori e delle autrici era quasi sempre casuale. Qualcuno era stato menzionato nei più importanti studi storici sulle comunità italiane in Gran Bretagna, e le poche bibliografie disponibili non distinguevano neanche tra scritti letterari e contributi di carattere storico-sociologico. In più occasioni ho riflettuto sul perché nessuno avesse voluto investire tempo ed energie in un progetto tanto difficile e mi sono chiesta se fosse realmente possibile proseguire il lavoro. La motivazione ad andare avanti, però, diventava via via più forte. Quegli scritti erano straordinari, potenti sia sul piano interculturale che su quello sociale, e dopo anni, decenni di oblio, chiedevano di essere riportati alla luce. E a quel punto mi sono detta che poco importava che il lavoro non fosse esaustivo: bastava che aprisse un varco e suscitasse curiosità, interesse. Sebbene abbia scoperto altre 4 voci a pochi mesi dalla prima consegna a Palgrave del manoscritto, e abbia lavorato duramente per farle rientrare nella stesura, non mi sono mai pentita della mia scelta”.

Portare avanti in parallelo l’impegno universitario e quello critico-letterario sarà per sempre la sua dimensione oppure crede che potrebbe arrivare per lei il momento di scegliere tra l’uno o l’altro?

“Non credo proprio. Literary Voices of the Italian Diaspora in Britain mi ha insegnato che anche la didattica può dare origine a importanti progetti di ricerca. Mai come adesso, infatti, sono grata ai miei studenti e alle mie studentesse per avermi dato modo di portare a termine un lavoro di ricostruzione che aiuterà un’intera comunità di italiani a conoscere una parte per troppo tempo dimenticata del loro straordinario patrimonio culturale”.

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