Londra ha ospitato il Wine Dark Short Film Festival, un evento unico nel suo genere che ha messo al centro del suo programma la salute mentale e la neurodiversità attraverso il linguaggio cinematografico. Questa prima edizione, svoltasi il 6 ottobre 2024 presso il The Space Theatre, ha dato vita a una piattaforma inclusiva, dedicata a cineasti e storie spesso lasciate sullo sfondo.
Voci dalla trincea: la Grande Guerra tra silenzi e coraggio
Giunge finalmente a Londra il volume La Dura Vita della Trincea – Silenzi e grida nella Grande Guerra, che sarà presentato Mercoledì 30 Ottobre alle 18:00 presso il Consolato Generale d’Italia a Londra.
Dal cuore delle Alpi alla Silicon Valley: Liquid Factory finanzia il futuro
Da una valle italiana alla Silicon Valley. Sogna in grande. Finanziamo il talento per cambiare il mondo. E’ il messaggio di benvenuto che theliquidfactory.com riserva a chiunque entri nel website, spinto dalla curiosità di capire molte cose.
Cos’è Liquid Factory?
Partendo dall’inizio: cos’è Liquid Factory? E’ una nuova start-up per talenti che vogliono scommettere su se stessi, partendo da un’idea profondamente innovativa. Che ha per scenario la Valtellina, in stretto collegamento con la Silicon Valley, in California. Perché tutto parta in Italia, si sposti dall’altra parte del mondo e poi ritorni, è necessaria una progettualità unica e brillante.
Fabrizio Capobianco è la mente che sta dietro il progetto Liquid Factory. Dopo una lunga esperienza di vita e di lavoro spesa in Silicon Valley, ha deciso di tornare in Valtellina e di far partire da qui tutti i suoi nuovi progetti per quei ragazzi che vogliono realizzarsi nel settore della tecnologia, ad un livello alto e competitivo.
Solo una mente che non dimentica cosa significhi essere giovani e ambiziosi riesce a prodursi in una progettualità così innovativa e generosa, al punto da attirare su di sé anche le attenzioni istituzionali. A inizio Ottobre infatti il progetto è stato presentato a Londra, presso l’Ambasciata d’Italia.
Abbiamo chiesto a Fabrizio Capobianco di raccontarci com’è andata, ma soprattutto di parlarci della sua ultima creazione. E anche un po’ di se stesso.
Un imprenditore seriale
Se dovessi presentarti a chi ancora non ti conosce, cosa diresti di te?
Io sono un imprenditore seriale, così mi chiamano negli Stati Uniti, nel senso che ho costruito tante aziende, ne ho create due in Italia e due negli USA e adesso sto lanciando una nuova iniziativa. Quindi tendenzialmente mi piace creare delle cose che non esistono, anche un po’ folli. Ho creato la prima azienda Internet in Italia, che si chiamava Internet Graffiti, quando nessuno sapeva cosa fosse Internet. Avevo 23 anni. Adesso stiamo lanciando Liquid Factory, che è una fabbrica di start-up, in una valle delle Alpi, per creare aziende globali e mandare i ragazzi in Silicon Valley, tenendo il resto dell’azienda in Italia. L’idea che abbiamo è quella di creare aziende liquide, cioè al cento per cento remote, in cui l’imprenditore o imprenditrice è in Silicon Valley (se sono liquidi possono andare dove vogliono) e il resto del team rimane in Italia, in Valtellina.
Non c’è più bisogno di sentirsi quasi in dovere di spostarsi fisicamente per lavorare all’estero, quindi?
Esatto. Io ho aperto due aziende in Italia, poi sono andato in Silicon Valley nel ’99 e ho trascorso lì ventitré anni. Prima ho creato un’azienda con capitali americani e cervelli in Italia, a Pavia, perché ho capito che gli ingegneri che avevo in Italia erano più bravi di quelli che avevo trovato in Silicon Valley. Gli ingegneri italiani, a mio avviso, non sono secondi a nessuno. Anche la successiva azienda l’ho creata raccogliendo capitale americano. Quella dopo ancora, che si chiama TOK.tv, che poi ho venduto quattro o cinque anni fa ad un’azienda americana, l’ho creata con quartier generale sempre in Silicon Valley, nel senso che io ero fisicamente lì, ma il resto dell’azienda era ‘disperso’ in giro per l’Italia. Perché ho imparato che l’ingegnere italiano, che è bravissimo, non ha tanta voglia di muoversi, è poco mobile. Quindi il nostro primo ingegnere era in Sicilia, il secondo in Sardegna, il terzo a Roma, il quarto a Milano, per cui l’idea di costruire un’azienda completamente distribuita e completamente liquida funziona benissimo perché non devi spostare la gente che può starsene a casa a lavorare. Chiaramente questa cosa funziona bene nel software, nelle aziende tecnologiche come le nostre. E funziona anche per me.
La generazione Z mette la qualità della vita al primo posto
Come si svolge la tua giornata-tipo, quindi?
Ho sempre lavorato da remoto con TOK.tv per sette anni, poi un’azienda della Silicon Valley, Minerva Networks, ci ha acquisito nel 2019 e due anni fa sono tornato in Italia. Lavoro alla mattina, poi alle 11 stacco, vado a sciare, alle 15 ricomincio. La qualità della mia vita è eccezionale e questa cosa secondo me è assolutamente ripetibile e vale anche per i Gen Z, che poi sono il nostro target. Quelli della generazione Z tendono a mettere la qualità della vita al primo posto, e il lavoro al secondo. Dar loro la possibilità di lavorare in mezzo alla natura, andare a camminare in montagna, fare climbing oppure andare a sciare d’inverno o andare al lago (perché noi siamo a mezz’ora dal lago di Como) è un vantaggio, a mio avviso, competitivo, non solo per i ragazzi italiani ma anche per quelli all’estero. Sono stato a Londra perché sono convinto che tanti nostri ragazzi sono andati fuori visto che in Italia non potevano fare niente, oppure venivano considerati dei folli. Questa invece è un’idea folle pensata anche per far rientrare quei ragazzi che hanno lasciato l’Italia perché qui non trovavano la possibilità di crescere.

Come è previsto il coinvolgimento di questa tipologia di target nel progetto?
Noi stiamo costruendo una fabbrica in start-up facendo venire quattro ragazzi o ragazze all’anno e li aiutiamo a costruire delle realtà che possano cambiare il mondo. Mirando alla Silicon Valley, siamo costretti a creare tutti gli eventi e le start-up cui daremo vita nei prossimi cinque anni, con un intento: quello di diventare ‘grandi’. Non stiamo cercando quindi di creare piccole imprese, ma piuttosto aziende che possano scalare, come dicono gli americani. Che possano diventare effettivamente enormi, nel modello distribuito, in cui non c’è bisogno di essere tutti in un ufficio, va benissimo essere ognuno in un posto diverso, possibilmente bello. Questo è il grande vantaggio che abbiamo in Italia, dal post-Covid: se la qualità della vita va al primo posto, di posti belli come l’Italia ce ne sono pochi, al mondo. Riempiamo potenzialmente un centro di attrazione particolare per chi ama la montagna, la Valtellina, per chi vuole fare impresa globale ma vuol vivere in un posto bellissimo, dove si mangia benissimo, dove l’aria è buona e si è contatto con la natura.
Sono tornato perché la mia azienda mi lascia lavorare da remoto
Ed è stato questo il motivo che a un certo punto ti ha spinto a lasciare la Silicon Valley e a tornare in Italia?
Sono tornato non solo perché questi posti mi piacciono moltissimo e la qualità della vita è estremamente superiore a tutto il resto del mondo, ma anche perché posso. Io prima del Covid non potevo tornare in Valtellina perché non avevo la connessione a Internet. Adesso il 99 per cento delle case di Sondrio hanno la fibra. Quindi sono partito dalla Valtellina che avevo 18 anni perché qui non avevo niente da fare, occupandomi di software, e poi trent’anni dopo mi sono reso conto improvvisamente che qui posso vivere, posso lavorare, posso costruire delle aziende che lavorano con la Silicon Valley e quelli che erano i limiti della Valtellina, cioè che era un po’ lontana, che era un po’ isolata, diventano ora invece i punti di vantaggio, i punti positivi, perché rimane un’isola felice, da cui oggi, scrivendo software, schiaccio il tasto ‘invio’ e li distribuisco in tutto il mondo. Non ho problemi di dover usare i camion, avere un magazzino etc. Quindi si adatta moltissimo al futuro, che è un futuro di tecnologia, di intelligenza artificiale. Sono tornato perché ho potuto fare una cosa che invece dieci anni fa era impensabile. Sono tornato anche perché la mia azienda, quella per cui lavoro, mi lascia lavorare da remoto, cosa che una volta era assolutamente inimmaginabile, e oggi invece sta diventando una cosa possibile e stan pian pianino crescendo. Ho creato quattro aziende, l’ultima l’ho fatta liquida e aveva livelli di produttività molto più alti di tutte le altre che avevo creato prima. Aveva dipendenti molto più felici, gente che restava molto legata all’azienda quindi i risultati finali sono stati ottimi. Per cui se dovessi crearne un’altra, la farei così. Molto difficile prendere un’azienda esistente e trasformarla in un’azienda da remoto, perché una volta che sei partito in un modo, si fa fatica a cambiare. Poi tanti hanno sperimentato il lavoro da remoto durante il Covid, che era il caso peggiore possibile e immaginabile, perché erano a casa con il wi-fi che non funzionava, i bambini irrequieti, non potevano neanche uscire a mangiare o a bersi un caffè, erano isolati, quindi tanti hanno quell’idea di lavoro da remoto. Il mio lavoro da remoto è invece è un altro tipo di attività, in cui esco anche, magari per andare a pranzo in montagna con un amico.
Learn, earn, and give back
Come nasce quindi l’idea di Liquid Factory?
Liquid Factory è una start-up factory finanziata con quattro milioni di euro da Banca Popolare di Sondrio, che è una banca locale, territoriale, con vocazione internazionale, gestita da banchieri illuminati che hanno capito che il futuro è la tecnologia e che il futuro è anche la capacità di portare in un posto come la Valtellina cervelli, talenti da tutto il mondo, per creare il futuro delle aziende, e quindi poi alla fine creare anche lavoro e business locali. E’ un’iniziativa che ha dentro dodici partners (io sono uno dei dodici), tutta gente che è andata in Silicon Valley, che lavora con la Silicon Valley: tre vivono ancora lì, sono ‘remoti’ o lavorano per aziende liquide. E’ un gruppo di persone che ha deciso quello che ho deciso io, ero in Silicon Valley e lì mi hanno insegnato un paio di cose: una è che quando arrivi a un certo punto della vita devi fare il giveback, devi restituire quello che imparato. A dir la verità per i primi venticinque anni della tua vita: learn, cioè impara. I venticinque anni dopo: earn, cioè guadagna. I venticinque anni dopo ancora: giveback. Quindi è arrivato il momento di ridare indietro a chi ti ha dato. Questa è la prima cosa che ho imparato, quindi sono tornato in Valtellina per ridare al mio Paese e alla mia valle quello che ho imparato, e una delle cose che ho imparato è quella di pensare in grande. Perché qui in Italia tendiamo ad aver paura: del fallimento, di rischiare. Invece vogliamo portare, in Valtellina e in Italia, quest’idea un po’ folle della Silicon Valley che fallire fa parte del gioco, sennò non si rischia. Se tu non rischi, non fallisci. Ma se non vuoi fallire non ti puoi permettere di rischiare. Noi sappiamo che delle venti aziende che creeremo, quindici moriranno. Fa parte del gioco. Ma di quelle cinque che resteranno, magari a quattro ritorneranno un po’ dei soldi che avremo dato, perché noi diamo 200mila euro per start-up, e una probabilmente farà il botto. E quella che farà il botto ci darà indietro tutti i soldi che abbiamo investito su tutte le aziende. Però fallire fa parte del gioco, ma in Italia questo è un concetto che non è ancora passato, il che limita un po’ la crescita del Paese sul fronte dell’innovazione.

L’application per Liquid Factory entro il 31 Ottobre
Come sta procedendo il reclutamento dei talenti partito a settembre?
E’ partito il 16 Settembre e cerchiamo questi talenti attraverso la nostra pagina web, theliquidfactory.com, in cui c’è un form per fare l’application. L’application va fatta entro il 31 Ottobre: i primi quattro, a partire da Gennaio verranno qui in Valtellina dove si fermeranno tre, sei, nove mesi, quanto tempo ci servirà per mandarli poi in Silicon Valley. Poi l’anno prossimo faremo un altro bando con scadenza a fine Giugno, per prendere i prossimi quattro, e andremo avanti così per quattro o cinque anni.
Portare un pizzico di Silicon Valley in Italia
Mercoledì 2 Ottobre sei andato a Londra a presentare questo progetto presso l’Ambasciata Italiana in UK. Com’è andata?
Mi hanno invitato a raccontare questa storia, la sala era piena quindi l’interesse secondo me era molto forte perché alcuni erano italiani che vivono là, ma c’erano anche dei ragazzi parecchio interessati. Per l’Italia conta il fatto di poter dire “guardate che abbiamo un’eccellenza europea” perché di start-up factory per costruire aziende che diventano globali e vanno in Silicon Valley non ce n’è in giro tante, anzi penso che non ce ne sia in giro nessuna. Quindi l’idea di andare a raccontare questa cosa a gente che magari dall’Italia se n’è andata perché in Italia non li capiva nessuno e non aveva alcuna possibilità di fare qualcosa di significativo, che avesse un impatto, significa dire “guardate che adesso c’è qualcosa di interessante, di significativo. Se siete giovani non dovete per forza rimanere a Londra. Potete anche pensare di venire qualche mese in Valtellina, in un posto bellissimo, e poi vi mandiamo in Silicon Valley”. Questo era un po’ il messaggio, quindi la presentazione secondo me è andata molto bene, l’interesse mi è sembrato molto alto. E’ un’idea un po’ folle, ha questa caratteristica, quando la gente la sente pensa ‘che strano’, però stiamo cercando veramente di portare un pizzico di Silicon Valley in Italia, e cerchiamo di fare le cose come si fanno là, con i tempi rapidi, con la trasparenza, cercando anche di cambiare la mentalità su come si crea business. In Italia, se tu hai vent’anni devi aspettare, inutile che parli; quando arrivi a quaranta-cinquant’anni puoi dire la tua. In Silicon Valley se ne hai quaranta o cinquanta non hai niente da aggiungere perché sei anziano; se ne hai venti porti una prospettiva nuova e diversa, quindi ti ascoltano. Noi vorremmo cercare di ascoltare i ragazzi giovani che hanno l’energia, la voglia di cambiare il mondo, e dar loro le risorse per farcela. Proviamo a cambiare perché si può, magari una volta non si poteva fare perché non c’era l’intelligenza artificiale, non c’era la tecnologia; oggi con le tecnologie che abbiamo a disposizione si possono fare tante cose che una volta erano impossibili.
E per concludere, un messaggio propositivo e ottimistico: si può fare. Come dice Capobianco “improvvisamente non c’è più bisogno di andare per forza all’estero, si possono fare cose innovative anche in Italia. E comunque la gente che viene qui poi la rimandiamo all’estero, non siamo quelli che dicono ‘tornate perché qua è tutto bello’. Ci è chiarissimo come funziona il mondo: noi vogliamo che i ragazzi da qui se ne vadano all’estero a imparare e poi, nel caso, tornino. C’è una frase che dice il Dalai Lama, con cui io chiudo di solito le presentazioni, che dice ‘Ai vostri ragazzi dovete dare le ali per volare via, ma anche le radici per tornare, e quando tornano dovete dar loro dei motivi per restare’. Le ali, ai ragazzi, bisogna darle, le radici ce le abbiamo, e stiamo cercando di dare la possibilità a chi se ne va di rientrare perché da qui si può davvero avere un impatto a livello globale”.
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Il rap italiano sbarca a Londra grazie a Gemitaiz
Salvate la data sul calendario: l’11 ottobre il rap italiano sbarca a Londra grazie a Gemitaiz. Il rapper e cantante romano è infatti atteso sul palco dell’E1 London, pronto ad accoglierlo a braccia aperte. Chiuso il tour della QVC Experience in Italia, iniziato questa estate a Roma e conclusosi lo scorso 13 settembre a Milano, le sonorità rap, hip hop ma anche elettroniche e techno dell’artista vengono a scuotere la platea dell’E1 Lnd, locale storico che dal 2017 è la seconda casa per chi ama vivere la nightlife londinese. L’apertura delle porte, al 110 di Pennington Street, è prevista alle 18.00 e dovrebbe concludersi intorno alle 22. Ma la serata non finisce qui.
Per tutti coloro che assisteranno allo show di Gemitaiz è previsto un after party nel White Studio, la sala più intima del locale. La line-up sarà composta dagli “Italian Heroes“, nomi come Frenetik, Kwality, Amanda Lean e molti altri. Attese anche delle special guest durante il corso della serata. L’evento si terrà dalle 22:00 alle 6:00.
Gemitaiz, Davide
Nel mondo del rap e della musica italiana da oltre vent’anni, Gemitaiz, pseudonimo di Davide De Luca,può vantare all’attivo 6 album (di cui due in collaborazione con il collega e artista Madman), decine di dischi di platino e d’oro certificati Fimi e numerose collaborazioni con i nomi più grandi e influenti della scena musicale italiana, tra cui Fabri Fibra, Coez, Mahmood, Giorgia e molti altri. Ha rilasciato il suo ultimo album in studio Eclissi nel 2022 e il decimo capitolo della sua saga di mixtape QVC a dicembre dell’anno scorso.
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Io che ai tempi del Torretta…
Io che non ballo e canto dai tempi del Torretta Stile (c’è qualche romano della mia generazione che legge e ripensa come me ai tempi andati? Sì? Mando un abbraccio a tappeto) quando sono venuta a conoscenza dell’evento mi sono immaginata in prima fila a fare lip sync che neanche alla battle più sincopata di RuPaul’s Drag Race avete mai visto. E siccome noi di Londra Notizie24 approfondiamo di brutto, abbiamo intervistato Michel Ferrari (chitarrista, fondatore del progetto VIP Band) e Simone Langiu (batterista, Music Director, fondatore di Spaghetti Disco) per farveli conoscere meglio.
Il 12 ottobre non prendete impegni
Prima però, quick reminder: la prossima serata Spaghetti Disco (VOL. 4) si terrà il 12 ottobre dalle ore 19:00 allo Scala di King’s Cross (275 Pentonville Rd London, N1 9NL). QUI per acquistare i biglietti!

Ciao Michel e Simone, cominciamo col raccontare la genesi della vostra band e del progetto VIP?
Michel: Il progetto VIP Band nasce circa due anni fa. Io e Luca (anch’egli chitarrista della band) ci trovavamo di tanto in tanto a casa mia e, solitamente, alla sera fino a tarda notte suonavamo insieme un po’ di tutto, soprattutto pop e rock. A un certo punto della serata ci veniva sempre in mente di provare a suonare dei pezzi dei nostri artisti italiani preferiti, e fu in uno di questi momenti che pensai all’idea di formare una band che suonasse questi pezzi a Londra, per tutti i ragazzi e le ragazze come noi che sono venuti a vivere qui, ma sentono la nostalgia di casa. Da lì ci siamo messi in moto per trovare gli altri membri della band e cominciare a fare le cose sul serio.
Un nome fra tutti: Lucio Battisti
C’è una canzone che, ogni volta che la suonate, riesce a creare una connessione speciale con il pubblico? Quale e perché?
Simone: Sicuramente ci sono diverse canzoni che riescono a creare una connessione speciale, ma quelle di Lucio Battisti sembrano avere un impatto particolarmente forte. Ogni volta che le suoniamo, percepiamo una reazione calorosa e autentica dal pubblico, probabilmente perché richiamano ricordi e sensazioni condivise.

Come selezionate i brani da inserire nel vostro repertorio? Puntate sulla nostalgia o cercate anche di far scoprire ai giovani italiani (e non) a Londra dei pezzi meno mainstream?
Simone: Il nostro repertorio spazia dagli anni ’70 ai primi 2000, cercando di cogliere quelle canzoni che hanno avuto un impatto in Italia prima del nostro trasferimento a Londra. C’è sicuramente un elemento di nostalgia, sia per noi che per il pubblico, ma cerchiamo anche di inserire brani meno conosciuti, per far scoprire nuove perle ai più giovani e a chi non è italiano.
Tutti i membri di questa band studiano musica da anni
Suonare canzoni iconiche come quelle di Raffaella Carrà, Lucio Battisti e Rino Gaetano comporta una certa responsabilità. Come vi preparate a rendere giustizia a questi pezzi?
Michel: È certamente una grande responsabilità, la preparazione avviene per la maggior parte individualmente: ognuno studia i pezzi e poi ci si confronta in sala prove. Tutti i membri di questa band studiano musica da moltissimi anni e sono grandi professionisti, questo rende il lavoro molto più semplice, ma sempre attento e preciso.

Se doveste scegliere una canzone italiana che rappresenti perfettamente l’esperienza di un italiano all’estero, quale sarebbe?
Simone: Probabilmente “L’italiano” di Toto Cutugno.
Secondo voi quali sono gli stereotipi sulla cultura italiana, musica inclusa, che ancora persistono nell’immaginario collettivo inglese?
Simone: Gli stereotipi sulla cultura italiana sono quelli ben noti: dal cibo, alla gestualità esagerata mentre parliamo. Per quanto riguarda la musica, spesso viene vista come qualcosa di molto “locale”, ma abbiamo notato che, attraverso eventi come Spaghetti Disco, anche il pubblico non italiano inizia ad apprezzare la ricchezza e la varietà della nostra musica.

Il lavoro del musicista non è un ”vero lavoro”…
Avete notato differenze nel modo in cui il pubblico interagisce con la musica dal vivo qui a Londra rispetto all’Italia? In particolare, come vi sentite quando suonate in un contesto più partecipativo e attento, come spesso accade nei venues indipendenti del Regno Unito, rispetto a un’atmosfera più da ‘sottofondo’ che a volte si trova nei locali italiani?
Michel: Provo a parlare a nome di tutti anche se ovviamente ognuno ha avuto esperienze differenti. Io personalmente non ho vissuto serate particolarmente negative in Italia, ma credo che in generale la musica dal vivo e chi la suona siano più apprezzati nel Regno Unito. Probabilmente questo deriva dal fatto che il nostro non è visto come un vero e proprio lavoro in Italia, il che è un peccato perché abbiamo musicisti straordinari che se ne vanno per cercare fortuna altrove.

Il progetto VIP Band è nato recentemente ma avete già raggiunto importanti traguardi. Qual è la vostra visione per il futuro?
Michel: La visione che abbiamo di VIP Band per il futuro è di un gruppo che porta la musica italiana non solo nel Regno Unito ma in tutto il mondo, ovunque ci sia una comunità italiana che vuole di nuovo cantare le proprie canzoni preferite.
Scala vi aspetta!
Spaghetti Disco si prospetta come una serata con un mix di classici italiani e moderni. Come vi state preparando per suonare in un locale iconico come Scala a King’s Cross?
Simone: Siamo entusiasti di tornare a suonare a Scala. È sempre un’esperienza incredibile esibirsi davanti a un pubblico così carico. Fortunatamente, la nostra esperienza collettiva sul palco ci permette di affrontare l’evento con serenità e con il desiderio di far divertire e coinvolgere tutti i presenti.
