Nel prepararci ad accogliere con tutto l’amore decadente che abbiamo i Tre Allegri Ragazzi Morti al Dingwalls di Londra questo giovedì 10 ottobre, abbiamo intercettato Enrico Molteni, bassista della band, per parlarci di questi trent’anni di musica indipendente, per davvero.
Qualche settimana fa ho ricevuto una telefonata da una cara amica expat, che è andata più o meno così:
«Cecia – sì, sarà una trasposizione letterale – ti dico solo una parola: TARM.»
«Cosa?! Quando?»
«Giovedì 10 ottobre al Dingwalls.»
«Ok Ce, ci vediamo lì. Comunque si dice “acronimo”.»
I Tre Allegri Ragazzi Morti non rappresentano «solo» Alpha e l’Omega della musica indipendente italiana, sono anche il simbolo di una coerenza artistica che ha sempre e solo risposto a una metrica: la libertà di fare poeticamente e intellettualmente il c*zzo che gli pare, che fosse chiudere con la storica BMG Ricordi, aprire la loro etichetta, o fare un disco completamente diverso dai precedenti con i miei (altri) amatissimi Cor Veleno (quanto manchi Primo Brown, riposa in pace).

Trent’anni con lo spleen
Sono passati appena trent’anni dalla triade su cassetta Mondo Naif, Allegro Pogo Morto e Si Parte, al tempo ignorati dall’intellighenzia musicale, poi fenomeni, ma sempre e irrimediabilmente presenti nello spleen di noi (all’epoca) giovani Werther, oggi massacrati più che mai dal fallimento del capitalismo e in lotta con la cultura della sorveglianza, ci prepariamo ad abbracciare il male di vivere e la gioia di morire, e viceversa, presenziando a una delle gig più meaningful di questo 2024.
I Tre Allegri Ragazzi Morti a Londra, con il loro sound che ha esplorato il multiverso prima di altri, il loro immaginario, e la loro palpabile fotta ci trascineranno tra circa 24 ore indietro al tempo delle mele imperfette e tuttavia commestibili, e noi non aspettavamo altro.
Per rendere ancora più lieto questo laico avvento, abbiamo pensato di farvi un regalo e abbiamo intercettato Enrico Molteni, bassista della band, per fare un recap della parabola Tre Allegri Ragazzi Morti, e redimervi se non riuscite a presenziare. Ora smetto con il linguaggio episcopale e vi lascio godere dell’intervista. Anzi, prima i consigli per gli acquisti. I biglietti li comprate QUI.
Ciao Enrico, grazie per la tua disponibilità. Comincio con una serie di ”what if”:
Se foste in un mondo post-apocalittico dove il capitalismo è finalmente caduto, come passerebbe la vostra prima giornata?
Penso che chiuderei il computer, lancerei il telefono dalla finestra e uscirei di casa per una lunga camminata nel bosco. E so che nel bosco troverei anche Davide (Toffolo, nda) e Luca (Masseroni, nda).

Plainsong: volare piangendo
Se doveste scegliere una canzone, vostra o di qualcun altro, che rappresenti la decadenza dell’Occidente moderno, quale sarebbe e perché?
Sono un grande appassionato di musica goth, dark come la chiamiamo in Italia. Da ragazzino sapere che qualcun altro aveva quello spleen, che non ero solo, mi ha salvato la vita. Quindi direi Plainsong dei Cure. Ricordo ancora la prima volta che l’ho sentita, è stato come volare piangendo, un’altissima e inspiegabile commozione da 5 minuti e 17 secondi.
Se poteste collaborare con qualsiasi artista vivente o passato, chi scegliereste per un progetto completamente fuori dagli schemi?
Una volta abbiamo suonato a un festival e c’era anche Joe Strummer coi Mescaleros. Gli ho chiesto l’autografo sul primo disco dei Clash e Davide gli ha regalato i suoi fumetti, e Strummer ha chiesto a Davide di fargli l’autografo sui fumetti. Insomma, io direi Joe Strummer. Forse non fuori dagli schemi come accoppiata, ma credo che oggi insieme si potrebbe anche lavorare su qualcosa di “nuovo”.
Senza Complotto non ci sarebbero stati i TARM
Guardando indietro ai tempi del Great Complotto, pensi che quell’esperienza abbia plasmato in modo decisivo la vostra visione artistica e musicale?
Sicuramente sì. Io vivo per motivi anagrafici nell’onda lunga del Complotto, ma Davide è sicuramente cresciuto in quel periodo, tanto da rimanerne profondamente plasmato come persona. Spesso Davide dice che la sua musica preferita è quella del Complotto, i suoi gruppi preferiti sono tutti lì. Ha iniziato a suonare ed è la persona che è grazie a quel contesto. Quindi direi che probabilmente senza Complotto non ci sarebbero stati i TARM.
Negli anni ’90 avete autoprodotto dischi in un periodo in cui la cassetta era vista come alternativa al CD, considerato borghese. Pensi che oggi ci siano forme simili di resistenza culturale nell’industria musicale?
La forma più grande di resistenza all’industria musicale oggi sembra essere quella di produrre e distribuire gli LP e i CD (e anche le MC) e non essere sulle piattaforme di streaming. A me più che altro sembra un modo di non accettare i cambiamenti della nostra società, dei nostri tempi. Avere tutta la musica del mondo in tasca, da un certo punto di vista, non è poi così male. Si è creata una situazione in cui, anche volendo, non è affatto facile “fottere il sistema”.
Quando avete rotto il contratto con la BMG Ricordi e iniziato a distribuire autonomamente i vostri dischi, cosa è stato più esaltante? La libertà creativa o il riscontro del pubblico?
Essere completamente indipendenti è forse limitante ma…
La cosa più esaltante è stata dover prendere direttamente le decisioni, giuste o sbagliate che fossero. Seguire tutta la filiera produttiva, dalla scrittura alla distribuzione, le grafiche, i video, la promozione, tutto. Essere completamente indipendenti (siamo il gruppo più indipendente che conosco) è forse limitante da alcuni punti di vista, ma di sicuro ti tiene vivo, e penso che alla fine la musica in qualche modo ti assomigli di più.
Il Friuli-Venezia Giulia è una regione ricca di paesaggi suggestivi, come quelli di Andreis. Quanto e in che modo la natura e il paesaggio circostante vi hanno influenzato nella scrittura e nella composizione dei vostri album?
Davide è più cittadino, di Pordenone. Anche se ha fatto l’alpino e in realtà è un grande conoscitore di animali, di uccelli soprattutto, ma di tutti gli animali. Li sa disegnare perfettamente. Luca è cresciuto in pedemontana, Malnisio, in provincia di Pordenone, ed è molto legato alla natura. Conosce bene gli animali ma anche le piante, riuscirebbe a sopravvivere a lungo in un bosco, mangiando anche bene. Io sono cresciuto in centro a Verona, e non me n’è mai fregato un cazzo della natura. Ora vivo a Milano, ma quando torno in Friuli ho una casa nel bosco a Frisanco, non lontano da Andreis, e adoro camminare nel bosco e stare nella natura. Ci sono arrivato tardi, ma ci sono arrivato. La natura è la cosa più bella che c’è, e penso che nella musica dei TARM ce ne sia molta di natura.

Fare le cose per gli altri come le vorresti per te stesso
Hai iniziato a suonare il basso con i Tre allegri ragazzi morti nel 1996. Come hai vissuto la fase iniziale della band e il passaggio a un progetto così importante come La Tempesta Dischi?
Erano il mio gruppo preferito, un fulmine nei miei ascolti principalmente anglofoni. Com’era possibile che qualcuno cantasse in italiano dicendo quelle cose su quella musica? Fulminato dal primo disco, quello su MC del 1994. Tanto che a furia di andare a vederli, mi hanno chiesto di suonare con loro. Come è successo al batterista dei Sonic Youth e a tanti altri. La Tempesta è arrivata dopo, è assurdo come sia nata in modo naturale e sia diventata un lavoro così grande, quasi 400 titoli, ognuno con una sua storia. Credo che il segreto rimanga sempre quello di fare le cose per gli altri come le vorresti per te stesso. Non è sempre un concetto romantico, è un po’ come quello che c’è scritto in alcuni bagni: “lasciami come vorresti ritrovarmi”. Aahahah… spero si sia comunque colto l’amore per La Tempesta, è assoluto.
Avete mai affrontato un blocco creativo nella vostra carriera? Se sì, come siete riusciti a superarlo e a trovare nuova ispirazione?
Direi di no. Davide, che è il creativo del gruppo, non pensa ad altro, mai. Storie, canzoni, disegni, cose. Non l’ho mai visto spegnersi.
Come vi sentite a tornare a Londra dopo tanti anni? Quali sono stati i principali ostacoli che avete dovuto affrontare a livello organizzativo per suonare a Londra in quest’epoca post-Brexit?
Questa è una grande domanda alla quale dovrebbe rispondere la nostra agenzia, La Tempesta Concerti. Ho capito che ci sono state davvero tante difficoltà dal punto di vista burocratico. Tra l’altro ancora non siamo arrivati, speriamo tutto fili liscio. Comunque siamo gasati, davvero felici, e sentiamo che sarà una grande festa per noi e per tutti quelli che verranno a trovarci al Dingwalls giovedì sera!