‘C’est Moi’ a teatro e il film sulla famiglia: Giulia Asquino si racconta

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L'attrice Giulia Asquino (Credits Kalene Jeans).
L'attrice Giulia Asquino (Credits Kalene Jeans).
“Giulia Asquino: dalla NFTS al nuovo film sulla sua famiglia, tra Italia e Irlanda. E a teatro debutta ‘C’est Moi’”.

Dopo “Love, Edith”, Giulia Asquino torna con un nuovo progetto e fonda la sua etichetta cinematografica

L'attrice Giulia Asquino (Credits Kalene Jeans).
L’attrice Giulia Asquino (Credits Kalene Jeans).

L’abbiamo conosciuta l’anno scorso, Giulia Asquino, attrice ma non solo, quando ci ha raccontato di sé in occasione della piece teatrale ‘Love, Edith’ – The Secret Correspondence, omaggio a Edith Piaf, personaggio che ha influito sulla vita e l’arte di Giulia e di cui Giulia stessa è stata autrice e interprete.

Un lavoro-rivelazione (definita “dramedy”) che l’ha fatta conoscere al pubblico anzitutto di Londra, città in cui ha scelto di stabilirsi dopo una gavetta serrata, tra gli esordi a Roma (sua città natale) e gli studi a New York e Los Angeles, che l’hanno resa un’artista completa: recitazione, ballo e canto.

Dal film sulla storia di famiglia al progetto teatrale, ecco i prossimi obiettivi di Giulia Asquino

L'attrice Giulia Asquino (Credits Greta Larosa).
L’attrice Giulia Asquino (Credits Greta Larosa).

E questo è solo l’inizio. Perché a un anno di distanza la vulcanica Giulia Asquino sta disegnando un percorso anzitutto professionale, che la sta portando a definire gli obiettivi di una vita: una propria casa di produzione, la preparazione del suo primo progetto cinematografico importante (un film sulla storia della sua famiglia), un imminente progetto teatrale. E ha persino iniziato a studiare pianoforte.

Dalla NFTS a Iter Pictures: la formazione e la nuova avventura produttiva

Ma, prima di ogni altra cosa, ha appena conseguito un diploma in Sceneggiatura per Film e Televisione. Perché per saper fare seriamente il mestiere del cinema e del teatro (non solo recitare, ma anche scrivere) occorre una preparazione sempre più solida, occorre aggiornarsi, acquisire tutte quelle tecniche che poi si andranno a mettere in pratica. E perché, in fondo, nella vita come nel lavoro gli esami non finiscono davvero mai.

“Da Ottobre 2024 a Marzo 2025 ho frequentato e preso il diploma presso la National Film and Television School (NFTS) a Beaconsfield, che è a un’ora di treno da Londra (nel Buckinghamshire, n.d.r.) – ci racconta entusiasta Giulia – Una scuola di cinema in cui abbiamo imparato un sacco di cose: come scrivere una sceneggiatura di un film o di una serie, come gestire i personaggi, come creare la storia di ciascun personaggio da inserire poi all’interno del contesto generale, come andare in profondità dei personaggi senza farli parlare, ma con le immagini. Perché ovviamente la differenza principale tra il teatro e il cinema, o comunque la serialità, è appunto che tu sul palco le cose le devi capire. Quindi gli attori le devono dire, al cinema no.

“Al cinema anche solo un’immagine ti può far capire tutto di un personaggio. L’introduzione di un soggetto all’interno di un film o di una serialità potrebbe anche benissimo essere una scena in cui questo cammina o in cui magari è in camera sua.

E già dal contesto si può capire che tipo di personaggio è, che tipo di persona è, e tante altre cose.

“Un po’ come in realtà accade anche con la recitazione. La recitazione teatrale è completamente diversa dalla recitazione cinematografica, che è molto più subtle, come dicono gli inglesi, più impercettibile. Un tipo di recitazione in cui in realtà si può anche parlare meno, perché la scena si vede.

“A teatro invece c’è tanta parola, tanta voce, è tutto più grande. I movimenti, tutto. Per me anche imparare questo è stato interessantissimo perché, venendo dalla scrittura teatrale dell’anno scorso con la piece su Edith, in realtà mi ha aiutata tantissimo. Essendo stata abituata ad una scrittura teatrale, in cui tu devi spiegare le cose, ho fatto tutto un lavoro di pulitura delle scene, di come si vuol rappresentare un dialogo con le parole, o con le immagini usando poche parole”.

Quando hai capito che questa scuola poteva realmente aiutarti nella preparazione del tuo primo film?

All’inizio é stato difficile perché è tutto un altro modo di scrivere, completamente. Anche quando quella cosa ce l’hai in testa, quando te la immagini. Devi descrivere a parole ciò che a teatro invece vedi perché sei lì. Al cinema devi costruire la scena, ma prima devi scrivere tutto, l’inquadratura, il particolare. Tutto.

In realtà il lavoro dello scrittore è veramente interessante perché è un ruolo che ha un potere enorme. A scuola ci hanno suggerito che, specialmente se siamo molto legati alla storia, se ci va di aggiungere un dettaglio che proprio deve esserci, e che nessuno deve cambiare, di inserirlo sullo scritto, sul copione. Bisogna scriverlo.

Perché ovviamente poi il copione andrà in mano a tanta altra gente tra cui, ad esempio, il regista, il direttore della fotografia, e altre figure della crew del film, prima di arrivare sul set”.

Un film sulla storia di famiglia tra Italia e Irlanda

Come sta procedendo la preparazione del film?

“Anzitutto devo dire che sono veramente contenta di lavorare con la mia produttrice Cristina Isgrò (che lavora per la casa di produzione Archery Pictures). E’ una ragazza veramente in gamba. Ci sentiamo tutti i giorni, ci aggiorniamo di continuo. Anche lei, tra l’altro si è diplomata nella mia stessa scuola, ma in Produzione.

Con il lavoro per il film sta andando molto bene. A Novembre abbiamo iniziato a fare le prime liste di tutti gli scrittori che ci piacevano, perché volendo mantenere la veridicità storica, mi serviva comunque uno scrittore o una scrittrice irlandese che potesse parlare della parte irlandese della storia. Con me, che nella stessa storia porto la parte italiana”.

Perché, ricordiamolo, la storia della tua famiglia si snoda tra Italia e Inghilterra passando per l’Irlanda…

“Esatto. Elsa, la sorella di mia nonna, nei primi anni Cinquanta partì da Rapolla, in provincia di Potenza (Basilicata), alla volta dello Yorkshire. L’Irlanda c’entra perché lei nello Yorkshire, a Huddersfield, conobbe quello che poi sarebbe diventato suo marito, e lui era irlandese.

Anche lui poi si trasferì in Inghilterra, dove si guadagnava meglio e dove ci si poteva creare davvero una carriera, specialmente in un periodo in cui l’Irlanda versava in una grossa crisi economica e sociale.

L’Irlanda quindi ha assoluta attinenza con il film, perché poi é la storia di loro due, quindi dell’incontro tra cultura italiana e cultura irlandese”.

Sinéad Collopy e la ricerca dell’autenticità irlandese

Da sinistra Sinéad Collpy Giulia Asquino e Cristina Isgrò (credits Giulia Asquino).
Da sinistra Sinéad Collpy Giulia Asquino e Cristina Isgrò (credits Giulia Asquino).

Avete fatto quindi delle selezioni tra tutti gli scrittori che si sono candidati per occuparsi della parte irlandese della storia?

“Sì, avevamo iniziato a contattare le agenzie di questi scrittori. Ne abbiamo sentiti tanti, anche molto importanti, quindi in realtà eravamo felici anche solo per il fatto che ci contattassero, che ci rispondessero.

Pensa che ci ha risposto anche Alice Birch, l’autrice di Normal People, che sta già lavorando a diversi progetti per i prossimi due anni e mezzo. Ma non potevamo fermare la nostra produzione per così tanto tempo.

Abbiamo quindi continuato a fare delle call su Zoom e altre dal vivo. L’ultima è stata con Sinéad Collopy, siamo andate avanti a parlare per un’ora e mezza, abbiamo parlato della storia e ho scoperto che la maggior parte delle donne della sua famiglia si era trasferita in Inghilterra, proprio dall’Irlanda.

E si notava che comunque a lei la storia del film piaceva molto, anche perché si collega alla storia della sua stessa famiglia. Ho capito subito che avevamo trovato la nostra scrittrice irlandese”.

Quasi un segno del destino, insomma…

“Infatti. L’importanza di Sinéad in realtà sta proprio lì, perché per rendere la storia più verosimile, portando elementi storici veri, legati alla cultura irlandese, avevo bisogno di qualcuno che potesse parlare di quella cultura.

Perché, come dicevo, io posso portare la parte italiana, la cultura italiana, quello che so dell’Italia, ma mi serve comunque qualcuno del posto che possa rendere il tutto autentico, in modo che gli irlandesi possano poi rispecchiarsi in questo racconto, possano rivedersi.

Questa è una cosa che mi sta molto a cuore, per cui preferisco lavorare insieme a qualcuno che conosce bene la storia di quel popolo”.

Possiamo già svelare dei nomi riguardo a questo progetto?

“In realtà speravo di poterti dare già dei nomi adesso. E invece no, ancora non posso. Più che altro perché alcune cose sono andate un po’ per le lunghe, però in realtà siamo in contatto con società di produzione sia in Irlanda che in Inghilterra, qui a Londra, che sono molto propense a firmare con noi.

In questo momento, praticamente, il team, siamo io, Cristina e Sinead.

L’obiettivo è firmare con due case di produzione entro giugno (è una co-produzione), perché ci piacerebbe fare richiesta di finanziamento a Screen Ireland, che sarebbe l’istituto nazionale irlandese per i fondi per il cinema. E poi puntare anche a fondi pubblici qui a Londra”.

L’ultima volta che ci eravamo sentite mi avevi parlato della tua società di produzione. Cosa mi puoi dire, ad oggi?

“Si chiama Iter Pictures. In realtà stavamo già facendo tutti i documenti per ufficializzare la società con un altro nome, poi mi sono accorta su Internet che in giro c’erano già altre situazioni – troppe – con lo stesso nome che avevo inizialmente pensato io. Quindi confermo, il nome ufficiale è Iter Pictures. Che riporta al latino, che riporta al viaggio”.

Teatro, “C’est moi”: il nuovo one-woman show ai Riverside studios

Il tuo prossimo progetto teatrale?

“In realtà l’idea era quella di riproporre Edith anche quest’anno. Ma poi abbiamo deciso per un’idea completamente nuova. Lo spettacolo di quest’anno si intitola C’est Moi: sul palco in realtà racconto me stessa, la mia storia. E’ una cosa molto più personale.

Adesso è un viaggio essenzialmente mio. Dove in realtà mi spoglio dei vestiti di Edith (il fulcro della piece dello scorso anno, n.d.r.) e racconto anche attraverso degli oggetti che collegano le mie esperienze alle esperienze di Edith. Perché poi ci sono dei parallelismi che ho trovato, tra le nostre storie, davvero pazzeschi. È quasi cabaret in realtà. C’è interazione col pubblico”.

Canterai?

“Sì. Canto alcune canzoni. E questo mi riporta alla mente una review che era uscita dopo il primo spettacolo che diceva che non avevo la voce della Piaf. E dentro di me ho pensato “certo, non sono la Piaf”. Nessuno ce l’ha, la voce della Piaf, che era della Piaf, e basta. Ma che razza di annotazione è questa? Non so, non ha senso. Di conseguenza, userò anche alcune critiche che mi erano state fatte, tipo questa”.

La piece di quest’anno è in italiano o in inglese?

“Sempre in inglese. Debutto il 30 aprile al Riverside Studios di Londra alle 7.15 pm. È un work-in-progress, nel senso che è la prima volta che va in scena, poi dovrebbe tornare on stage di nuovo quest’estate in occasione di un festival che si svolge sempre al Riverside Studios. Ma voglio vedere se in teatro funziona, se piace. Me ne renderò conto dopo la prima data del 30 Aprile”.

“Dinner is Ready”: il prossimo progetto teatrale di Giulia Asquino con Lucy Russell

Oltre a questo imminente debutto londinese Giulia Asquino sta preparando un altro progetto, “Dinner is Ready”, ispirato a un’opera prima di Francesca Nunzi (attrice, regista e autrice nata a Roma, molto popolare in Italia).

Per la regia di questa piece, che andrà comunque in scena a Londra, Giulia ha contattato Filippo Dini, autore e regista teatrale molto apprezzato. Interessata a rivestire il ruolo di co-protagonista, insieme a Giulia sullo stesso palco, è Lucy Russell, nota attrice britannica.

Le due si sono incontrate poco prima di Natale, per parlare di questa possibile collaborazione, davanti a un caffè.

“Lucy mi ha detto che trova la storia molto bella. Tra l’altro le piacerebbe tornare a recitare a teatro”. Quale occasione migliore, quindi.

Raccontaci un po’ la storia di questo nuovo progetto teatrale.

“E’ una storia italo-inglese, in questo momento sono in fase di scrittura. La madre è un’immigrata italiana a Londra, la figlia è nata in Inghilterra. Quindi un incontro generazionale e culturale, di una volontà di integrazione che parte da una scelta anche linguistica.

Per esempio, dei componenti della mia famiglia che sono cresciuti in Inghilterra, nessuno parla italiano. La zia non voleva che parlassero italiano, ma desiderava che si integrassero al meglio.

Secondo me è un lavoro molto interessante da far vedere anche al pubblico italiano, per far capire che cosa significa andare via. Che cosa significa vivere fuori dalla propria terra d’origine”.

Mamma e figlia in scena, quindi, a fare da specchio a una società sempre meno orientata ad avvertire l’esigenza di prendersi delle responsabilità.

“Oggi nessuno si vuole prendere la responsabilità di andare in fondo alle proprie scelte, anzitutto per se stessi, ma che si rispecchiano poi su tutti. È molto più facile dare la colpa a chi c’era prima, accusato di aver lasciato alle generazioni successive un mondo malato”.

Senza che, sempre più spesso, le giovani generazioni si sforzino di lavorarci un po’ su, per capire se c’è qualcosa da salvare e come farlo. La trama propone inoltre un plot twist che certamente non vi sveleremo.

In attesa che tutto ciò accada, per vedere Giulia Asquino sul palco l’appuntamento è Mercoledì 30 Aprile ore 7.15 pm al Riverside Studios di Londra per “C’est Moi” (Tickets su: https://riversidestudios.co.uk/see-and-do/cest-moi-163883/).

E’ l’occasione per conoscere meglio questa artista a tutto tondo: da non perdere!

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